Maria Valtorta - Evangelo cap. 123: I discorsi dell’Acqua Speciosa: “Non fornicare”.
Вставка
- Опубліковано 24 гру 2024
- Maria Valtorta - Evangelo cap. 123: I discorsi dell’Acqua Speciosa: “Non fornicare”. L’affronto di cinque notabili.
4 marzo 1945.
Mi dice Gesù: «Abbi pazienza, anima mia, per la doppia fatica. È tempo di sofferenza. Sai come ero stanco gli ultimi giorni?! Tu lo vedi. Mi appoggio nell’andare a Giovanni, a Pietro, a Simone, anche a Giuda… Sì. Ed Io, che emanavo miracolo solo sfiorando con le mie vesti, non potei mutare quel cuore! Lascia che Io mi appoggi a te, piccolo Giovanni, per ridire le parole già dette negli ultimi giorni a quei pervicaci ottusi sui quali l’annuncio del mio tormento scorreva senza penetrare. E lascia anche che il Maestro dica le sue ore di predicazione nella triste pianura dell’Acqua Speciosa. Ed Io ti benedirò due volte. Per la tua fatica e per la tua pietà. Numero i tuoi sforzi, raccolgo le tue lacrime. Agli sforzi per amore dei fratelli sarà data la ricompensa di quelli che si consumano per fare noto Dio agli uomini. Alle tue lacrime per il mio soffrire dell’ultima settimana sarà dato in premio il bacio di Gesù. Scrivi e sii benedetta».
Gesù è ritto su un mucchio di tavole alzate come una tribuna in uno degli stanzoni, l’ultimo, e parla con voce tonante, presso la porta, per essere udito tanto da quelli che sono nella stanza come da quelli che sono sotto la tettoia e sino sull’aia allagata dalla pioggia. Sotto i loro mantelloni scuri e di lana non conciata, sulla quale l’acqua non ha presa, paiono tanti frati. Nella stanza sono i più deboli, sotto la tettoia le donne, nella corte, all’acqua, i robusti, uomini per lo più.
Pietro va e viene, scalzo e con la sola veste corta sotto un telo che si è messo sul capo, e non perde il buon umore anche se deve sguazzare nell’acqua e fare una doccia non richiesta. Con lui sono Giovanni, Andrea e Giacomo. Trasportano dall’altro stanzone con precauzione dei malati e guidano dei ciechi o sorreggono degli storpi.
Gesù attende con pazienza che tutti siano a posto. E solo si duole che i quattro discepoli siano bagnati come delle spugne messe in un secchio.
«Niente, niente! Siamo legno impeciato. Non te la prendere.
Facciamo un altro battesimo, e il battezzatore è Dio stesso», risponde Pietro ai rammarichi di Gesù.
Finalmente tutti sono a posto e Pietro pensa di potersi andare a mettere una veste asciutta. E lo fa cogli altri tre. Ma, quando ha raggiunto da capo il Maestro, vede sporgere dall’angolo della tettoia il mantellone bigio della velata e, senza più pensare che per andare da lei deve riattraversare la corte in diagonale sotto lo scroscio della pioggia che infittisce e nelle pozze che schizzano fino al ginocchio così percosse dai goccioloni, va da lei. La prende per un gomito, senza spostare il mantello, e la trascina bene in su, presso la parete dello stanzone, al riparo dall’acqua. E poi le si pianta vicino, duro e immobile come una sentinella.
Gesù ha visto. Ha sorriso chinando il capo per celare la luminosità del suo sorriso. Ora parla.
«Non dite, voi che siete venuti costanti a Me, che Io non parlo con ordine e salto via qualcuno dei dieci comandi. Voi udite. Io vedo. Voi ascoltate. Io applico ai dolori ed alle piaghe che vedo in voi. Io sono il Medico. Un medico va prima ai più malati, a quelli che sono più prossimi a morte. Poi si volge ai meno gravi. Io pure.
Oggi dico: “Non fornicate”.
Non volgete intorno lo sguardo cercando di leggere sul volto di uno la parola “lussurioso”. Abbiate carità reciproca. Amereste che uno la leggesse su voi? No. E allora non cercate leggerla nell’occhio turbato del vicino, sulla sua fronte che arrossa e si curva al suolo. E poi… Oh! dite, voi uomini in specie. Quale fra voi non ha mai messo i denti in questo pane di cenere e sterco che è la soddisfazione sessuale? Ed è lussuria solo quella che vi spinge per un’ora fra braccia meretrici? Non è lussuria anche il profanato connubio con la sposa, profanato perché è vizio legalizzato essendo reciproca soddisfazione del senso, evadendo alle conseguenze dello stesso?
Matrimonio vuole dire procreazione, e l’atto vuol dire e deve essere fecondazione. Senza ciò è immoralità. Non si deve del talamo fare un lupanare. E tale diventa se si sporca di libidine e non si consacra con delle maternità. La terra non respinge il seme. Lo accoglie e ne fa pianta. Il seme non fugge dalla zolla dopo esservi deposto. Ma subito genera radice e si abbranca per crescere e fare spiga, ossia la creatura vegetale nata dal connubio fra la zolla e il seme. L’uomo è il seme, la donna è la terra, la spiga è il figlio. Rifiutarsi a far la spiga e sperdere la forza in vizio è colpa. È meretricio commesso sul letto nuziale, ma per nulla dissimile dall’altro, anzi aggravato dalla disubbidienza al comando che dice: “Siate una sola carne e moltiplicatevi nei figli”.....