Maria Valtorta - Evangelo cap. 124: La “velata” viene ospitata nella casetta dell’Acqua Speciosa.

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  • Опубліковано 25 гру 2024
  • Maria Valtorta - Evangelo cap. 124: La “velata” viene ospitata nella casetta dell’Acqua Speciosa.
    5 marzo 1945.
    La giornata è talmente orrida che non c’è nessun pellegrino. Piove a rovesci e l’aia si è mutata in un basso stagno su cui galleggiano foglie secche, venute da chissà dove e portate dal vento che fischia e scuote porte e impannate. Nella cucina, più che mai tetra, perché per impedire alla pioggia di entrare si deve tenere appena socchiusa la porta, ci si affumica e si lacrima e tossisce perché il vento respinge in giù il fumo.
    «Aveva ragione Salomone», sentenzia Pietro. «Tre cose cacciano l’uomo: la donna litigiosa… e quella l’ho lasciata a litigare a Cafarnao con gli altri generi, il camino che fa fumo e il tetto che fa acqua. E questi due ce li abbiamo… Ma domani ci penso io a questo camino. Vado sul tetto, e tu e tu e tu (Giacomo, Giovanni e Andrea) venite con me. E con delle lavagne faremo un rialzo e un tetto al comignolo».
    «E dove le trovi le lavagne?», chiede Tommaso.
    «Sulla tettoia. Se piove là non è il finimondo. Ma qui… Ti duole che le tue vivande non si decorino più di lacrime fuliginose?».
    «Figurati! Magari ci riuscissi! Guarda come sono tinto. Mi piove in testa quando sto qui al fuoco».
    «Sembri un mostro egiziano», dice ridendo Giovanni.
    E infatti Tommaso ha bizzare virgole nere sul volto pienotto e bonario. Il primo a riderne è lui, sempre allegro, e ride anche Gesù perché, proprio mentre parla, una nuova goccia carica di fuligine gli piomba sul naso e ne fa la punta nera.
    «Tu che sei esperto di tempo, che ne dici? Durerà molto così?», chiede a Pietro l’Iscariota, che è tutto cambiato da qualche giorno.
    «Ora te lo so dire. Vado a fare l’astrologo», dice Pietro e va alla porta e la socchiude un poco di più, mettendo fuori il capo e una mano. Poi sentenzia: «Vento basso e dal meridione. Caldo e caligine… Uhm! C’è poco da…». Pietro tace, poi rientra piano e mette la porta a spiraglio e sbircia.
    «Che c’è?», chiedono in tre o quattro.
    Ma Pietro fa cenno con la mano di tacere. Guarda. Poi dice con un sussurro: «C’è quella donna. Ha bevuto dell’acqua del pozzo e ha preso una fascina rimasta nella corte. È tutta bagnata. Non brucia certo… Se ne va… Le vado dietro. Voglio vedere…». È uscito cauto.
    «Ma dove può stare per essere qui vicino sempre?», chiede Tommaso.
    «Ed essere qui con questo tempo!», dice Matteo.
    «In paese ci va certo, perché anche ieri l’altro ci comprava del pane», dice Bartolomeo.
    «Ha una bella costanza a stare così velata!», osserva Giacomo di Alfeo.
    «O un grande motivo», finisce Tommaso.
    «Ma sarà proprio quella che diceva ieri quel giudeo?», chiede Giovanni. «Sono sempre così falsi!».
    E Gesù sta sempre zitto come fosse sordo. Tutti lo guardano, certi che Lui sa. Ma Lui sta lavorando con un coltello tagliente intorno ad un pezzo di legno dolce, che piano piano si muta in un comodo forchettone per estrarre le verdure dall’acqua bollente. E quando ha finito offre il suo lavoro a Tommaso, che si è dedicato proprio tutto alla cucina.
    «Sei proprio bravo, Maestro. Ma… ce lo dici chi è?».
    «Un’anima. Per Me siete tutti “anime”. Null’altro. Uomini, donne, vecchi, bambini: anime, anime, anime. Anime candide i pargoli, anime azzurre i fanciulli, anime rosee i giovani, anime d’oro i giusti, anime di pece i peccatori. Ma anime solo; solo anime. E sorrido alle anime candide perché mi sembra di sorridere agli angeli; e mi riposo fra i fiori rosei e azzurri degli adolescenti buoni; e mi rallegro delle anime preziose dei giusti; e mi affatico, soffrendo, per fare preziose e splendide le anime dei peccatori. I volti?… I corpi?… Nulla. Io vi conosco e riconosco per le vostre anime».
    «E lei che anima è?», chiede Tommaso.
    «Un’anima meno curiosa di quella dei miei amici, perché non indaga, non chiede, va e viene senza parola e senza sguardo».
    «Io la credevo una di malaffare o una lebbrosa. Ma mi sono ricreduto perché… Maestro, se ti dico una cosa non mi rimproveri?», chiede l’Iscariota andando a mettersi seduto per terra contro le ginocchia di Gesù, tutto diverso, umile, buono, fin più bello in questa sua aria dimessa di quanto non sia quando è il pomposo e borioso Giuda.
    «Non ti rimprovererò. Parla».
    «Io so dove abita. L’ho seguita una sera… fingendo di uscire a prendere acqua, perché mi sono accorto che a buio viene sempre al pozzo… Una mattina ho trovato per terra una forcina d’argento… proprio sull’orlo del pozzo… e ho capito che l’aveva perduta lei. Ebbene, lei sta in una capannella di legno che è nel bosco. Forse serve ai contadini. È però mezza marcita. E lei le ha messo sopra delle frasche a fare da tetto. Forse quella fascina la vuole per quello. È una tana. Non so come ci possa stare. Basterebbe appena ad un grosso cane, o a un minuscolo asinello. Era una sera di luna e ho visto bene. È mezza sepolta fra i rovi, ma dentro… è vuota e non c’è porta. È per quello che mi sono ricreduto e ho capito che non è una di malaffare».

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