INDOVINA CHI VIENE A PRANZO FEDERICO VOTTA ASSISTENTE ARBITRO SERIE A

Поділитися
Вставка
  • Опубліковано 27 сер 2024
  • “Guardalinee: il signor
    Votta da Moliterno”.
    Un tempo Ameri, o magari Pizzul,
    avrebbe sicuramente annunciato così l’esordio
    in serie A (avvenuto
    a maggio scorso), del trentaduenne Federico
    Votta, giovane dall’aplomb inglese che “nella
    vita” segue il commerciale in una ditta di
    trasporti e logistica. Linguaggio d’altri tempi
    a parte (ma è doveroso segnalare il mancato
    aggiornamento in materia dello scrivente), è
    opportuno precisare (e anche l’interessato pare
    tenerci) che gli “assistenti arbitrali” (termine
    più moderno) con la bandierina, al pari degli
    arbitri, nel gergo sportivo vengono abbinati al
    comune della sezione arbitrale (in questo caso
    Moliterno) e non a quello di nascita (sempre in
    questo caso, Marsico Nuovo).
    D - Da bambini un po’ tutti sognavamo di
    diventare calciatori...lei invece sognava di
    diventare arbitro?
    R - (Sorride) No, a dire il vero, sognavo anch’io
    di fare il calciatore, ma poi una serie di
    vicissitudini mi ha portato a intraprendere il
    percorso arbitrale, di cui mi sono innamorato.
    Quel che è certo, è che di base ci vuole
    comunque una grande passione per il calcio.
    D - Lei ha iniziato come arbitro in mezzo al
    campo, facendo molta esperienza in serie
    D, e successivamente è diventato assistente
    arbitrale, quello che una volta si chiamava
    “guardalinee”. In questa veste, il 13 maggio
    scorso, ha esordito in serie A, nella partita
    Fiorentina-Monza.
    R - Sì, in serie D ero arbitro, ma non sono
    riuscito a passare in C; ho quindi fatto un
    corso di qualificazione (messo a disposizione
    dall’Associazione Italiana Arbitri); l’ho
    superato e ho iniziato dalla serie superiore,
    ovvero la C, il percorso di assistente arbitrale.
    Dopo cinque anni, ho ricevuto la promozione
    alla CAN( Comitato Nazionale Arbitri serie A
    e B).
    D - Rispetto all’arbitro un assistente arbitrale
    ha maggiori o minori pressioni?
    R - E’ una cosa molto soggettiva, che in realtà
    dipende molto dal nostro approccio. Se guardo
    indietro alla mia carriera, mi accorgo che
    provavo più tensione in una partita di Prima
    Categoria di un certo tipo, rispetto, magari, a
    quella di serie A che ho fatto.
    D - I calciatori sono molto scaramantici. Gli
    arbitri pure? Anche lei fai gli scongiuri
    prima di una partita?
    R - (sorride). L’arbitro è molto scaramantico, e lo
    sono anch’io. E anch’io, come tutti, ho i miei
    riti, prima della gara, dopo la gara, o durante
    gli allenamenti.
    D - E’ difficile ammettere un errore? Cosa si
    prova, in quel caso, rivedendosi in tv?
    R - I primi ad addolorarsi per un eventuale errore
    siamo proprio noi. Ma fa parte del gioco. Così
    come un giocatore può sbagliare un calcio di
    rigore, un arbitro o un assistere arbitrale può
    sbagliare su un fuorigioco o su un fallo. La
    chiave di volta risiede in come reagiamo.
    D - Lei in serie D ha arbitrato in tutta Italia. Ha
    notato differenze tra Nord e Sud?
    R - Sicuramente al Sud mi è capitato di arbitrare
    gare con un clima ben diverso, magari, rispetto
    a gare del Nord, ove c’è un clima più sereno.
    Questo dal punto di vista ambientale. Dal
    punto di vista tecnico, invece, non ho notato
    grandi differenze.
    D - Sono sicuro che di aneddoti, anche coloriti,
    da raccontare ce ne sono. Le è mai capitato
    di dover essere scortato dai Carabinieri? Ha
    mai ricevuto minacce?
    R - Di aneddoti in effetti ce ne sarebbero. Ricordo
    in particolare una gara di Interregionale,
    a Palmi, in Calabria. La gara andò bene,
    ma c’era comunque molta animosità e i
    Carabinieri preferirono scortarci all’uscita
    dalla stadio. Ma niente di particolare, in realtà.
    Episodi molto eclatanti non ce ne sono stati.
    D - Una cosa che in campo la fa particolarmente
    arrabbiare?
    R - Non me ne viene in mente nessuna, anche
    perché sul campo bisogna essere pacati,
    evitando di “arrabbiarsi”.
    D - C’è una figura alla quale si inspira, in
    particolare?
    R - Di sicuro, ma preferisco tenerla per me.
    (sorride)
    D - Ci può dire almeno chi è stato, a suo avviso,
    il miglior arbitro italiano?
    R - Anche questo lo tengo per me (sorride).
    D - Dopo l’esordio in serie A, ci saranno altre
    partite?
    R - Dipenderà tutto da me. Ogni anno si riparte da
    zero. Sicuramente la designazione di serie A è
    stata qualcosa di emozionante, un sogno che si
    è avverato.
    D - Come avviene materialmente?
    R - E’ l’arbitro che chiama il team arbitrale. E
    quindi, molto semplicemente, mi ha telefonato.
    Di lì è scoppiata la gioia.
    D - Facile immaginare che finora, sia il ricordo
    più bello.
    R - Beh, ce ne sono tanti altri. Sa, ciò che ci lascia
    questa carriera è anche tutto ciò che c’è
    intorno: l’Associazione, la conoscenza di tante
    persone in giro per l’Italia, le amicizie che
    nascono e che ti porti dietro per anni, anche
    fuori dal contesto sportivo.
    D - Quanto dura la carriera di un arbitro? E’
    più lunga di quella di un calciatore o magari
    oggi corre in parallelo?
    R - Dai quattordici anni ai quaranta è possibile frequentare il corso.
    di Walter De Stradis

КОМЕНТАРІ •