Da poeta a poeta: "Leopardi" di Marino Moretti (1885-1979) Fuori dell'aula oggi mi sei davanti come se in cuore tutti mi cantassero i tre canti scolastici, i tre canti d'antologia: "Sabato del villaggio", "Quiete dopo la tempesta", "Passero solitario"... (oh natio borgo selvaggio!) Forse li leggo, e il terzo canto è mozzo. Hanno messo una riga di puntini invece di quel tuo lungo singhiozzo. T'hanno lasciato quasi a mezza via, non han voluto apprendere ai bambini lo strazio della tua filosofia. Io non capivo. Amavo la figura più del racconto: più del tuo sconforto il tuo cognome faceva paura. Ma vedrai, bimbo, se la carta sudi, tu mi dicevi e non t'udivo e accorto veniva il tempo di più dotti studi; così che dopo i facili commenti scesero giorni assai più duri, quelli dei confronti, dei nuovi documenti, delle domande: è Silvia oppur Nerina, la Fattorini o la Belardinelli, i tempi dell'ingenua dottrina. O Leopardi, io non ti amai. Lontano eri, lontano sei, ma ti ravviso e tu m'accenni con la stanca mano. Mi dici piano con la voce pia, il cuor pacato e un tacito sorriso, i più bei canti dell'antologia, ma neppur tu finisci il terzo: chini la fronte, celi il tuo selvaggio lutto, accetti la pietà di quei puntini. Ahimè che un bimbo io più non sono ed uso leggerti intero. Ahimè che tutto, tutto vedo e sento di te come in confuso: Nerina, Silvia, Paolina, Aspasia, la cara luna, il cuor tetro e randagio, il Vesuvio, il pastor ch'erra nell'Asia, e l'infinito, il mar del tuo naufragio.
Da poeta a poeta: "Leopardi" di Marino Moretti (1885-1979)
Fuori dell'aula oggi mi sei davanti
come se in cuore tutti mi cantassero
i tre canti scolastici, i tre canti
d'antologia: "Sabato del villaggio",
"Quiete dopo la tempesta", "Passero
solitario"... (oh natio borgo selvaggio!)
Forse li leggo, e il terzo canto è mozzo.
Hanno messo una riga di puntini
invece di quel tuo lungo singhiozzo.
T'hanno lasciato quasi a mezza via,
non han voluto apprendere ai bambini
lo strazio della tua filosofia.
Io non capivo. Amavo la figura
più del racconto: più del tuo sconforto
il tuo cognome faceva paura.
Ma vedrai, bimbo, se la carta sudi,
tu mi dicevi e non t'udivo e accorto
veniva il tempo di più dotti studi;
così che dopo i facili commenti
scesero giorni assai più duri, quelli
dei confronti, dei nuovi documenti,
delle domande: è Silvia oppur Nerina,
la Fattorini o la Belardinelli,
i tempi dell'ingenua dottrina.
O Leopardi, io non ti amai. Lontano
eri, lontano sei, ma ti ravviso
e tu m'accenni con la stanca mano.
Mi dici piano con la voce pia,
il cuor pacato e un tacito sorriso,
i più bei canti dell'antologia,
ma neppur tu finisci il terzo: chini
la fronte, celi il tuo selvaggio lutto,
accetti la pietà di quei puntini.
Ahimè che un bimbo io più non sono ed uso
leggerti intero. Ahimè che tutto, tutto
vedo e sento di te come in confuso:
Nerina, Silvia, Paolina, Aspasia,
la cara luna, il cuor tetro e randagio,
il Vesuvio, il pastor ch'erra nell'Asia,
e l'infinito, il mar del tuo naufragio.