Carissima Signora, giacché mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti li Signori Ragazzi della Vostra conversazione, ma la neve mi ha rotto le tappe e non mi posso trattenere. Ho pensato dunque di fermarmi un momento per fare la piscia nel vostro portone, e poi tirare avanti il mio viaggio. Bensì vi mando certe bagatelle per cotesti figliuoli, acciocché siano buoni, ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest'altr'anno gli porterò un po' di merda. Veramente io voleva destinare a ognuno il suo regalo, per esempio a chi un corno, a chi un altro, ma ho temuto di dimostrare parzialità, e che quello il quale avesse li corni curti invidiasse li corni lunghi. Ho pensato dunque di rimettere le cose alla ventura, e farete così. Dentro l'anessa cartina trovarete tanti biglietti con altrettanti numeri. Mettete tutti questi biglietti dentro un orinale, e mischiateli ben bene con le vostre mani. Poi ognuno pigli il suo biglietto, e veda il suo numero. Poi con l'anessa chiave aprite il baulle. Prima di tutto ci trovarete certa cosetta da godere in comune e credo che cotesti Signori la gradiranno perché sono un branco di ghiotti. Poi ci trovarete tutti li corni segnati col rispettivo numero. Ognuno pigli il suo, e vada in pace. Chi non è contento del corno che gli tocca, faccia a baratto con li corni delli compagni. Se avanza qualche corno lo riprenderò al mio ritorno. Un altr'anno poi si vedrà di far meglio. Voi poi, Signora carissima, avvertite in tutto quest'anno di trattare bene cotesti Signori, non solo col caffé che già si intende, ma ancora con pasticci, crostate, cialde, cialdoni, ed altri regali, e non siate stitica, e non vi fate pregare, perché chi vuole la conversazione deve allargare la mano, e se darete un pasticcio per sera sarete meglio lodata, e la vostra conversazione si chiamerà la conversazione del pasticcio. Frattanto state allegri, e andate tutti dove io vi mando, e restateci finché non torno, ghiotti, indiscreti, somari, scrocconi dal primo fino all'ultimo. La Befana lettera di Giacomburrasca alla marchesa Volumnia Roberti, 6 gennaio 1810 * * * Per Francesco Moroncini ("Epistolario di Giacomo Leopardi", Firenze: Le Monnier, 1934), «lo scritto ha la sua importanza a mostrare l'umore faceto e burlevole di cui egli dava molte prove nella sua prima età». Più probabile, tuttavia, è che il maturo quasi dodicenne (aveva già letto Omero, composto il sonetto "La morte di Ercole" e iniziata "L'arte poetica di Quinto Orazio Flacco travestita ed esposta in ottava rima") intendesse proprio 'castigare' la marchesa, troppo assiduamente frequentata da babbo Monaldo (vedasi, nell'epistola, l'insistenza sui corni: lunghi e curti).
Carissima Signora,
giacché mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti li Signori Ragazzi della Vostra conversazione, ma la neve mi ha rotto le tappe e non mi posso trattenere. Ho pensato dunque di fermarmi un momento per fare la piscia nel vostro portone, e poi tirare avanti il mio viaggio. Bensì vi mando certe bagatelle per cotesti figliuoli, acciocché siano buoni, ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest'altr'anno gli porterò un po' di merda.
Veramente io voleva destinare a ognuno il suo regalo, per esempio a chi un corno, a chi un altro, ma ho temuto di dimostrare parzialità, e che quello il quale avesse li corni curti invidiasse li corni lunghi. Ho pensato dunque di rimettere le cose alla ventura, e farete così. Dentro l'anessa cartina trovarete tanti biglietti con altrettanti numeri. Mettete tutti questi biglietti dentro un orinale, e mischiateli ben bene con le vostre mani. Poi ognuno pigli il suo biglietto, e veda il suo numero. Poi con l'anessa chiave aprite il baulle. Prima di tutto ci trovarete certa cosetta da godere in comune e credo che cotesti Signori la gradiranno perché sono un branco di ghiotti. Poi ci trovarete tutti li corni segnati col rispettivo numero. Ognuno pigli il suo, e vada in pace. Chi non è contento del corno che gli tocca, faccia a baratto con li corni delli compagni. Se avanza qualche corno lo riprenderò al mio ritorno. Un altr'anno poi si vedrà di far meglio.
Voi poi, Signora carissima, avvertite in tutto quest'anno di trattare bene cotesti Signori, non solo col caffé che già si intende, ma ancora con pasticci, crostate, cialde, cialdoni, ed altri regali, e non siate stitica, e non vi fate pregare, perché chi vuole la conversazione deve allargare la mano, e se darete un pasticcio per sera sarete meglio lodata, e la vostra conversazione si chiamerà la conversazione del pasticcio. Frattanto state allegri, e andate tutti dove io vi mando, e restateci finché non torno, ghiotti, indiscreti, somari, scrocconi dal primo fino all'ultimo.
La Befana
lettera di Giacomburrasca alla marchesa Volumnia Roberti, 6 gennaio 1810
* * *
Per Francesco Moroncini ("Epistolario di Giacomo Leopardi", Firenze: Le Monnier, 1934), «lo scritto ha la sua importanza a mostrare l'umore faceto e burlevole di cui egli dava molte prove nella sua prima età».
Più probabile, tuttavia, è che il maturo quasi dodicenne (aveva già letto Omero, composto il sonetto "La morte di Ercole" e iniziata "L'arte poetica di Quinto Orazio Flacco travestita ed esposta in ottava rima") intendesse proprio 'castigare' la marchesa, troppo assiduamente frequentata da babbo Monaldo (vedasi, nell'epistola, l'insistenza sui corni: lunghi e curti).