Conversazioni di FIlosofia: 19 - Escatologia

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  • Опубліковано 26 жов 2024

КОМЕНТАРІ • 19

  • @FilosofiaLiberata
    @FilosofiaLiberata  11 років тому +5

    Io trasmetto, ma sono la sensibilità e la abilità del recettore che avidamente attiva l'ermeneutica a incantarti. E' il messaggio che illumina, non il postino. Tu ti illumini d'immenso, non ti illumino io. Che meraviglia comunicare! Alberto Bassi

  • @TeamMasturbo
    @TeamMasturbo 3 роки тому

    Che meraviglia avere scoperto questo canale. Grazie per tutto questo.

  • @thiscouldbeatrap
    @thiscouldbeatrap 3 роки тому +1

    Oggi 2020, so che lei se ne è andato, e io sono qua, davanti la sua "inventiva". Grazie per queste lezioni!

  • @jerrod255
    @jerrod255 9 років тому +1

    Finalmente qualcuno che crede in ciò che fa!

  • @GiulianoLeandroLoy
    @GiulianoLeandroLoy 11 років тому

    Grazie infiniti per ciò che riesce a trasmettere interiormente.

  • @borgnamonica4376
    @borgnamonica4376 6 років тому +1

    Ti voglio un gran bene, giovane professore

  • @Xoisefull
    @Xoisefull 10 років тому

    professore sei un fenomeno, complimenti! grazie!

  • @FilosofiaLiberata
    @FilosofiaLiberata  11 років тому +2

    Gent. Antonello, Le piacerà molto di più leggere gratis (lo richieda): "Il Mondo", copia anastatica, di Luigi Cortesi, Biblioteca di San Paolo d'Argon, Via Medaglie d'oro, 2, cap 24040 (BG). E' il mio maestro di filosofia e di vita. Cordialità, A. Bassi & C.

  • @raifunich5347
    @raifunich5347 Рік тому

    grazie.

  • @arberelezi237
    @arberelezi237 11 років тому

    Complimenti ed grazie professore! :)

  • @Luigibett
    @Luigibett 5 років тому +1

    Signor Bassi mi perdoni ma nei suoi botta e risposta con Kumpel Marco ci sono affermazioni con cui io ( quasi piu` per le mie esperienze mistiche che per i miei studi filosofici all`Angelicum di Roma o quelli Teologici all`Universita` Salesiana ) non riesco a prendere sul serio. Esempi: 1 ) " L'esperienza mistica... ( nel senso di vedere faccia a faccia post mortem..) è possibile solo con il lumen gloriae " che i cattolici ammettono come condizione post mortem, e che è addirittura un dovuto "
    Osservazione: Cosa ... " Un " dovuto " nel Regno del puro ed assoluto amore di Dio ?
    2 )"Chi vede me vede il Padre". Dunque: " Chi vede Gesù risorto (termine che a me non piace, perché non c'è nessun bisogno di resurrezione per affermare Gesù vivo qui). "
    Osservazione: Questo e` l`esatto opposto di quanto, per esempio, dice Paolo " se Gesu` non e` risorto vana e` la nostra fede e noi che abbiamo creduto siamo i piu` disgraziati di tutti gli uomini " . Detto in soldoni non si vede come si potrebbe incontrare Gesu vivo se non fosse veramente e storicamente risorto. Per la stessa ragione un cristiano crede a Cristo e non a Napoleone che e` morto punto e basta.
    3 ) " Nello spazio-tempo la visione mistica non può esistere, come non può esistere la visione diretta del risorto, che può solo essere creduta (oggetto di fede: è "risorto" perché l'ha detto lui) "
    Osservazione: No sequitur. Gli Apostoli non hanno creduto a Gesu` perche` ha detto di essere risorto ma poiche ` l`hanno INCONTRATO risorto hanno creduto e compreso che e` risorto. In questo incontro Gesu` mostra le piaghe, si lascia toccare, ricorda che i fantasmi non hanno le ossa come lui, mangia del pesce. Che altro doveva fare il Risorto, venire ad una conferenza di filosofia su UA-cam per far capire che la visione di lui esiste ?
    4 ) " Esiste solo una vera (non-falsa) esperienza extra sensorialità normale: finita, dunque, benché non riconducibile a ogni altra esperienza reale, quindi detta assoluta (soluta ab) " .
    Osservazione: La questione della recezione di una autentica manifestazione di Dio nel relativo non e` risolta mai dal basso in alto ma dall`abbassarsi umile di questo Alto nel basso MAI deducibile dal basso. Una briciola di pane, anche se non e` tutto il pane, e` pur sempre una vera e nutriente bricola di pane.
    In genere mi sembra che si cerchi di spiegare un po` troppo a Dio cosa sia o non possibile o impossibile. Visto anche che siamo a Natale preferisco la teologia dell`Angelo Gabriele: < Nulla e` impossibile a Dio >. Ma questo e` il mistero. Mi perdoni l`impertinenza. Buon Natale

  • @EpicentroEditorialeLibretti
    @EpicentroEditorialeLibretti 3 місяці тому

    Applausiii

  • @kidmarco
    @kidmarco 10 років тому

    L'aporetica dell'apparire dell'assoluto (alla coscienza) in termini relativi mi sembra centrale... ma anche, forse, insolubile quindi contraddittoria.
    Mi sembra anche - ma mi potrà correggere - che ricalchi la distinzione scolastico-tomistica della conoscenza "quaod se" / "quoad nos".
    Provo ad argomentare:
    l'apparire relativo dell'assoluto è il non-apparire affatto dell'assoluto (come contenuto dell'apparire, come conosciuto), perché ciò implicherebbe un determinarsi dell'assoluto che è sempre, appunto, correlativo al termine rispetto a cui si determina (io, la coscienza): l'apparire determinato dell'assoluto sarebbe la sua assoluta negazione (determinare è negare), ma negazione dell'assoluto non può che essere negazione assoluta... oppure non sarebbe "all'altezza" del proprio negato.
    [ Questo, si noti, resta interno all'apparire anche qualora si distinguesse la relatività (del modo) di apparire dall'assolutezza che l'assoluto, pur apparendo relativamente, conserverebbe: resterebbe perché dovrebbe "apparire" a sua volta tale distinzione (tra il modo relativo del suo apparire E la intangibilità dell'assoluto in sé) ]
    Senonché, questa negazione (in quanto determinazione) assoluta dell'assoluto è impossibile:
    sarebbe, infatti, o essa stessa l'assoluto come negazione [e così lo riaffermerebbe piuttosto che negarlo!], oppure dovendo essere negazione assoluta dovrebbe negare tutto, inclusa se stessa, ossia essere autonegazione = nulla [e, di nuovo, essendo nulla non negherebbe alcunché, sicché non sfiorerebbe nemmeno l'assoluto]
    Allora, se apparire dell'assoluto è impossibile (per la contraddizione di cui sopra), dovremo dire che è impossibile (inintelligibile) che l'assoluto appaia, cioè è impossibile che l'assoluto sia un contenuto dell'apparire (= del conoscere).
    ........................................
    > INCISO:
    D'altra parte, anche volendo (per ipotesi) ammettere che - nonostante la contraddizione di cui sopra - per "decisione" insondabile dell'assoluto medesimo, esso effettivamente mi si presentasse davanti, mi potesse davvero apparire... ebbene, anche in tal caso, come (= su quale base) potrei sapere che esso, nonostante il modus relativo connaturato all'apparire, è assoluto cioè non-relativo?
    In altri termini, la distinzione relativo (quoad nos) ed assoluto (quaod se) potrebbe forse derivare da un criterio che non sia esso stesso "assoluto"?... e, quindi, potrebbe non essere essa stessa "interna" all'assoluto?
    No, perché se non fosse assoluta, potrebbe anche non essere quella distinzione che invece (assolutamente) si intende sia: appunto che il Relativo NON sia l'Assoluto (quel "non" deve essere assolutamente "non", senza però che quel "non" sia l'assoluto ovvero coincida con l'assoluto... altrimenti ricadremmo nella contraddizione della "negazione assoluta").
    Ebbene, ciò significa che distinguere TRA assoluto e relativo o è un atto dell'assoluto oppure è impossibile!
    Altrimenti detto: il relativo da sé non è in grado nemmeno di distinguersi dall'assoluto... per distinguersi deve appellarsi all'assoluto... ma - ecco il nodo - l'assoluto non si distingue affatto dal relativo (distinguendosi, si relazionerebbe al relativo, degradando se stesso da assoluto a relativo): tale distinzione non può che essere DIALETTICA, non analitica, tale cioè che l'assoluto è ciò per cui si sa la relatività del relativo, la sua non-assolutezza (non autonomia), il fatto cioè che il relativo preso per se stesso non è, il relativo in sé non sussiste.
    ........................................
    Tornado al nostro ragionamento:
    noi, avendo coscienza che l'assoluto apparendo alla nostra coscienza apparirebbe comunque in modo relativo (e che, dunque, come dicevo, non può essere un contenuto dell'apparire), non stiamo esibendo proprio questo criterio (che distingue l'assoluto dal relativo)?
    Ma , allora, la coscienza sa assolutamente di non essere l'assoluto e che ciò che gli appare non è l'assoluto... ma, appunto, lo sa ASSOLUTAMNETE!
    Se questo sapere è un "sapere assoluto", ma l'assoluto non è un dato dell'apparire, allora questo sapere assoluto non mi deriva dall'apparire...
    Se così è, mi chiedo:
    perché cercare l'assoluto nell' (attenderselo dall') apparire, anziché in questo "sapere" minimale certo ma pur sempre assoluto (quel sapere appunto che sa che sa ASSOLUTAMNETE che nessuna cosa che appaia è l'assoluto, cioè quel sapere che sa ASSOLUTAMNTE la relatività del relativo, che sa riconoscere il relativo come tale).
    Ma - e concludo - se so che nessuna cosa che appare è l'assoluto... non dovrò anche dire che l'apparire stesso è inadeguato (inessenziale) all'assoluto?
    Di più:
    ...non dovrò dire anche, e più drasticamente, che l'apparire è non solo inessenziale ma addirittura la mistificazione dell'assoluto, in quanto divide l'assoluto (= come contenuto dell'apparire) dall'assoluto presente alla coscienza (= il sapere assolutamente da parte di essa la differenza infinita, incolmabile tra la relatività di ciò che appare, di ogni contenuto dell'apparire E l'assoluto che non può apparire)?
    Se l'apparire impone questa divisione tra Assoluto (come contenuto dell'apparire, come il suo oggetto) E l'Assoluto (come sapere coscienziale della relatività del relativo, cioè del contenuto stesso dell'apparire), l'apparire è la radice stessa che fa essere questa CONTRADDITTORIA divisione, o anche solo distinzione, tra Assoluto e Assoluto, l'impossibile distinzione dell'Assoluto da se stesso!
    Se è impossibile la distinzione (che l'apparire, come tale, vorrebbe far essere), noterei, è parimenti impossibile la immediatezza "mistica", perché essa esigerebbe l'opposto cioè la identificazione proprio di ciò che non può essere distinto (= se non può essere distinto, non può neppure venire identificato!).
    Sia l'apparire esperienziale sia l'immediatezza mistica condividono un presupposto: la possibilità (in realtà, impossibile, a mio avviso) di distinguere analiticamente l'assoluto DAL relativo come se l'assoluto, in tale analisi, non venisse irrimediabilmente già da sempre e per sempre perduto, avendolo "reificato" in un qualcosa determinabile e determinato...
    In ternini teologici, se posso avventurami:
    Dio non può apparirmi nemmeno se si rivelasse interamente nell'apparire... infatti, Gesù Cristo è la necessaria mediazione (imposta dalla impossibilità di un apparire immediato ovvero di una manifestazione completa di Dio) ma è una mediazione che "deve" togliersi ossia "morire", perché la sua funzione è semplicemente quella di INDICARE l'ulteriorità rispetto all'apparire (che Cristo "incarna" in quanto carne) di Dio ossia del Padre... il quale è presente nel Figlio (sapere che il Figlio è tale, è possibile solo avendo "visto" il Padre, che però non è visibile) ma solo negativamente... appunto perché il Padre non potrà mai esser (coiicidere con) il Figlio, ovvero mostrarsi apparendo come Padre.
    Potremmo dire che il Padre è la condizione dell'apparire del Figlio, e che tale apparire/mediazione è (nel suo "dissolversi"!) la via appunto mediata al Padre, l'unico modo di vedere l'Assoluto senza ridurlo contaddittoriamente a veduto (relativo).
    Un sempre cordiale saluto.
    Marco

    • @FilosofiaLiberata
      @FilosofiaLiberata  10 років тому

      Caro Marco,
      hai certamente letto non solo Severino, ma anche Barth, dei quali sei vittima. L'esperienza mistica (vedere fisicamente e con tutte le altre potenze conoscitive, appetitive, estetiche l'assoluto [= solutus ab]) in sé è possibile solo con il lumen gloriae, che i cattolici ammettono come condizione post mortem, e che è addirittura un dovuto, perché il figlio ha diritto di vedere il Padre, e contarla su facies ad faciem). Che l'esperienza diretta dell'assoluto avvenga nelle condizioni spazio-temporali crea problemi anche a me. Però, a differenza di Barth e di Severino, io credo all'anolgia entis e credo nell'incarnazione: l'assoluto si presenta tale come uomo debole, pur restando l'assoluto: "Chi vede me vede il Padre". Chi vede Gesù risorto (termine che a me non piace, perché non c'è nessun bisogno di resurrezione per affermare Gesù vivo qui) non vede il "risorto", bensì un suo ologramma. Nello spazio-tempo la visione mistica non può esistere, come non può esistere la visione diretta del risorto, che può solo essere creduta (oggetto di fede: è "risorto" perché l'ha detto lui). Esiste solo una vera (non-falsa) esperienza extra sensorialità normale: finita, dunque, benché non riconducibile a ogni altra esperienza reale, quindi detta assoluta (soluta ab). Ma il ragionamento inferenziale metafisico raggiunge l'assoluto analogicamente. L'analogia non porta sul versante del "non" (l'apofatismo assoluto non è un'affermazione di essere), bensì sul versante dell'essere assoluto per l'unico modo di presentarsi come esistente all'intelletto discorsivo. L'assoluto che si presenta all'intelletto inferenziale non è meno assoluto perché si presenta in modo analogico. L'assoluto che si presenta, per ora solo in modo analogico, non ha esaurito tutti i suoi modi di manifestarsi. Quando lo vedrò faccia a faccia non sarà diverso da quello dimostrato razionalmente o affermato per fede. Sarà lo stesso (numericamente uno) affermato in modo diretto: tutto in tutti. Dio 'è, il mondo c'è, ma Dio più il mondo non fa niente più di Dio, perché Dio non fa due con nessuno. Lì la filosofia non arriva, ma in queste affermazioni non ci sono contraddizioni con la ragione. Mi rendo conto di avere solo abbozzato un tentativo di risposta, ma spero di avere impostato il tuo discorso su un binario parallelo e non di scontro.
      Con stima,
      Alberto Bassi
      P.S. Fai sempre domande molto impegnative, e non sempre posso risponderti. Saresti stato un mio studente maestro. Grazie per l'attenzione. A. B.

    • @kidmarco
      @kidmarco 10 років тому

      Filosofia Liberata
      Caro Professore, sono lieto di risentirLa (e spero, soprattutto, che possa stare bene...).
      Le Sue lezioni sono sempre emozionanti (in molti sensi)... mentre le Sue risposte, specie nei P.S. sono esageratamente generose nei miei confronti:
      sarebbe già tanto riuscire ad essere "veramente" allievo, ossia essere in relazione con il maestro "nella verità" (come scriveva Gentile nel Sommario di pedagogia: "E chi ha veramente appreso, non dimenticherà mai il maestro: e lo conserverà sempre nell'anima, e ne udrà sempre la voce...").
      Ma veniamo al nostro "polemos"... che non può mai essere "scontro" (anche quando ci si scontrasse, come due pietre focaie, cfr. Platone Epistola VII).
      Cerco di capire Severino, e per quel che ne ho capito - contrariamente a quanto io sostengo - per Severino l'essere (l'assoluto) appare... anzi, non può non apparire, per lui come diceva Hegel nella Scienza della logica "l'essenza deve apparire".
      A mio avviso, invece, l'assoluto è radicalmente (sì, se vuole, anche nel senso barthiano dell'analogia fidei, che però rispetto a Severino mi sembra l'esatto contraltare...) "altro" rispetto all'apparire... perché è strutturale all'apparire l'alterità (ciò che appare deve essere altro da ciò/colui a cui appare), mentre l'assoluto è "altro" dall'esser-altro: con ciò è, insieme, totalmente trascendente (altro) e totalmente immanente (indistinguibile, non-altro).
      Più propriamente siamo noi (relativo) a non poterci distinguere dall'assoluto, a non poterci rendere "altro" da esso.
      Ciò, insomma, comporta - per come la vedo - che l'assoluto non può non essere ma (per la sua stessa assolutezza e in-distizione, in-distinguibilità) non possa apparire, non possa essere dato.. perché non è un dato, dal momento che ogni dato come si sa è dato per modum recipientis (relativamente al ricevente: e tale modo relativo vanifica ogni assolutezza)!
      Se - per ipotesi irreale - mi si parasse di fronte l'Assoluto, io non vedrei l'Assoluto ma il mio modo (non-assoluto) di vederLo... e, con ciò, non lo vedrei per nulla!
      ...........
      Quindi, la visio Dei, l'esperienza diretta dell'assoluto, non più "come in uno specchio, ma faccia a faccia" (con il lumen gloriae, come Lei ricorda) è possibile, se non vogliamo cadere nella gnosi, solo diventando noi stessi Dio per grazia divina...
      Insomma, mi sembra sia un'ipotesi quantomeno aleatoria... a meno che non si voglia "costringere" Dio a concedere tale grazia! (contraddittoriamente, a mio parere... per questo non concordo con Lei sul "dovuto", perché è assurdo "legare" l'assoluto al relativo, il Padre al Figlio, non nel senso che non vi sia relazione essenziale tra le Persone, nel senso trinitario agostiniano, ma nel senso che il Padre è Padre perché FONDA la relazione, istituendola, con il Figlio... e quindi non si risolve interamente in tale relazione, pur sapendosi "Padre" solo in tale relazione:
      "non risolversi interamente" significa "interamente non risolversi" nella relazione, restare quindi essenzialmente irrelato, nonostante la partecipazione alla relazione!)...
      [ En passant: forse qui si separano veramente alla radice Cattolici e Luterani...per i secondi la fede stessa "dipende" dall'assoluto, no? e per un certo verso hanno ragione, perché la "ricerca", che è la fede, non potrebbe nascere da sé, non può sorgere in virtù di se stessa ma in ragione di una steresi che ha nell'attaulità dell'assoluto la sua radice... non crede? ]
      Ma aggiungerei:
      come potremmo sapere che Colui che ci concedesse tale grazia, di vederlo de faccia a faccia, è proprio Dio? (e non, per dire, l'Anticristo), dal momento che il criterio per riconoscerLo è solo nelle Sue mani???
      A mio modo d'intendere, dire che il lumen gloriae è possibile (possibile o necessario?) solo post mortem, significa che il relativo che siamo può vedere l'assoluto in un solo modo: "morendo" come relativo (finito) per essere l'assoluto (infinito), annullandosi in esso... che, a ben vedere, è quel che dice lo stesso Hegel quando dimostra che l'essenza del finito è "sich aufzuheben" ovvero è il puro dileguare in quanto contraddittorio, sicché esso "è" solo annullandosi nell'infinito.
      Però, questa non è fede, è sapere (rigoroso)...
      Quando Lei scrive: "Che l'esperienza diretta dell'assoluto avvenga nelle condizioni spazio-temporali crea problemi anche a me" mi trova stra-concorde!
      Come scriveva Boehme, ad sensum: se Dio apparisse ai nostri sensi, apparirebbe sensibilmente, cioè non apparirebbe come Dio...
      Ma, dobbiamo riconoscere: la FEDE stessa, in quanto esperienza, è e resta sul livello del relativo-finito-condizionato! epperò essa pretende di esibire l'assoluto quale suo contenuto...!
      Pretende di essere più grande di sé...!
      Però, vede, già in tale consapevolezza (che ci trova concordi) vi è l'appiglio della presenza dell'Assoluto: tale consapevolezza della impossibilità di una "parusia" mondana, se così posso dire, non ci sarebbe possibile se non in forza di ciò per cui tale impossibilità è saputa come impossibilità (= in forza dell'incontraddittorietà dell'Assoluto, di Dio... il quale, in tal modo, si rivela già presente, seppure in senso minimale, in questa nostra consapevolezza di cui sopra).
      Lei poi prosegue " io credo all'anolgia entis e credo nell'incarnazione: l'assoluto si presenta tale come uomo debole, pur restando l'assoluto: "Chi vede me vede il Padre".
      E qui ci dividiamo...
      L'analogicità non solo non toglie (meglio: non esaurisce) la unicità di ciò che appare, di ciò che è saputo solo analogicamente... MA, anzi, postula tale unicità (e univocità), che nonostante non sia data (perché sarebbe data solo in senso analogico, appunto) comunque resta "sporgente" rispetto alla relazionalità dell'analogia.
      Detta in una battuta: "Chi vede me vede il Padre" ma per vedere il Figlio come figlio occorre aver "già" veduto il Padre... senza però poterlo vedere come si vede il Figlio (= come oggetto di visione, come un veduto, come fenomeno).
      Come diceva Agostino, è questo il mistero più grande: "che non vediamo ciò che non possiamo non vedere"!
      Non dico che, con ciò, ci si debba appiattire "sul versante del NON" (dell'apofatismo), dico che la stessa analogicità non mi sembra in grado di inglobare ogni sporgenza (quindi il NON non della negatività, ma dell'eccedenza non dialettizzabile, della in-complanarità del significato originario la cui essenza resta non-partecipabile).
      Non si tratta, a mio parere, di "inferenza" ma di elenchos, che non inferisce (da... a...) bensì ritorna su di sé, azzerando quindi il percorso stesso del ritorno! (figurativamnete: mostra l'assolutezza in senso "puntuale", non come passaggio: è a-spaziale).
      Sono d'accordo con Lei che "l'apofatismo assoluto non è un'affermazione di essere"(= quell'essere immediato equivale al nulla.. che, infatti, nella mistica genera molti equivoci, inclusi certi riflessi della mistica che giungono sino a Heidegger), e non questo infatti intendo sostenere... ma che l'analogia è al più la "scala" (platonica) per l'anypotheton, è dianoia e discorso quale passaggio imprescindibile, ma che non può assurgere a struttura fondante, perché la stessa mediazione (imprescindibile, ripeto, da cui non si esce perché non si entra: intrascendibile, per l 'appunto) appartiene all'assoluto ma non all'assoluto ut sic, BENSI' alla sua espressione o esposizione (nel senso idealistico del termine)... così come, l'dentità "si dice" (si esprime) mediante la negazione dell'alterità (e non vi è altra via che questa!) MA l'identità come tale non è la negazione dell'alterità... altrimenti nemmeno tale negazione sarebbe, venendo a costituirsi una petitio principii che lascerebbe infondata l'identità come la negazione dell'alterità (cioè resterebbe tutto "presupposto", ovvero non posto)...
      In un modo secco e diretto Le chiederei:
      come fa a "sapere" che l'analogicità non esaurisce (su questo concordiamo) l'essenza dell'assoluto? [cito da Suo commento: "assoluto che si presenta, per ora solo in modo analogico, non ha esaurito tutti i suoi modi di manifestarsi"]:
      questo "sapere" la inesauribilità da parte dell'analogia rispetto all'assoluto non segue al sapere per via analogica, bensì lo precede!
      "So" che i molti punti di vista sulla città sono analogicamente la città, ma non la restituiscono nella sua interezza, MA il "sapere" questa asimmetria non mi può venire dai punti di vista, e tale "sapere" non è un punto di vista! (anzi, senza questo "sapere" non saprei mai neppure che i punti di vista sono tali e, quindi, non sono la città della quale sono "solo" punti di vista)
      Grazie a Lei, alla Sua cortesia e disponibilità.
      Con stima,
      Marco
      P.S.
      Stasera, a dire il vero, non avrei avuto nemmeno il tempo di rifletterci e scrivere...ma preferisco sottrarre qualche tempo al sonno, pur di condividere queste riflessioni (non perché ritenga che siano valide, ma per valutarne i limiti mediante il confronto).
      A presto.
      Quando Lei dice che l'Ateismo in teoresi non esiste, mi trova davvero in sintonia (e proprio io che non sono credente... almeno, credo).
      Le voglio render merito ed omaggio, riportandoLe due riscontri altrettanto gradi, che asseriscono la medesima cosa:
      "L'ateismo è solo pratico" (V. La Via, in conclusione di Metafisica e coscienza)
      +
      "Il fenomeno pratico (e solo pratico) dell'ateismo è la lacerazione non consaputa del pensiero dalla sua ragione [...] Non appena l'ateismo si motivi, da un canto risucchia in sé come «fenomeno pratico» le sue tentate motivazioni, dall'altro suppone e così attesta la presenza di «ragioni» estranee che, per motivarlo, lo contraddicono." (G.R. Bacchin, Anypotethon, pp. 305-306).

    • @kidmarco
      @kidmarco 10 років тому

      Filosofia Liberata Rileggendo e riflettendo - ancora - su quanto mi ha scritto, rilevo una contraddizione (non Sua, quanto della teologia o teodicea cristiano-cattolica) tra 1) e 2).
      1)
      "Dio 'è, il mondo c'è, ma Dio più il mondo non fa niente più di Dio"
      adagio tomista, quindi della colonna portante della tradizione e dell'ortodossia cattolica, che è un modo per significare la totale gratuità dell'atto creativo, dell'actus essendi... per il quale non vale il "principio di ragion sufficiente", così inderivabile che, in realtà, Dio è creatore solo quoad nos, non quoad se.
      Ergo, Dio non è "solo" creatore...essendo appunto libero di creare come non creare.
      NOTA:
      chi nella Neoscolatica tomista, come Bontadini e prima ancora direi per es. Masnovo (il quale - lo rilevava acutamente Bacchin - è la radice "inconscia"del neoparmenidismo severiniano) vedesse il Mondo ed il Divenire che lo struttura come "contraddittorio" in sé, se svincolato da Dio (dall'essere incontraddittorio), in realtà per non voler destituire di dignità ontologica il mondo, finisce per:
      - "obbligare" Dio a creare il mondo e a sostenerelo evitandone la dissoluzione per la intrinseca contraddizione del divenire (come passaggio da essere a non-essere e viceversa)
      - porre, implicitamente, la "origine" della contraddittorietà del divenire mondano in Dio stesso (= l'atto creatore è esso stesso un "contraddittorio" fare essere qualcosa che non-è, un passaggio dal non-essere all'essere!).
      Severino rigorizza la "tenerezza nei confronti del mondo" (per dirla con Hegel critico di Kant) e dice: ebbene, il mondo non può essere contraddittorio, perché la contraddizione nemmeno Dio la salva, quindi il mondo è l'essere incontraddittorio di Dio medesimo, sebbene appaia processualmente (= interpretazione non-nichilista di Severino, quale apparire degli enti eterni, e non passaggio da... a...)... ma, si noti, che negli ultimi sviluppi Severino setsso introduce un ambiguamnete teologizzante concetto di "Gloria" quale compimento dell'apparire, all'infinito, della totalità delle determinazioni - eterne - dell'essere...
      Guardacaso, lo spettacolo di tale Gloria (manifestazione compiuta dell'apparire eterno degli eterni, apparire infinito di tutti gli essenti, in quanto sono omnia in omnibus, l'apparire concreto infinito di Tutto... possibile solo all'infinito e quindi esigente un prolungamento sempiterno di tale apparire, di tale spettacolo processuale - toglimento infinito della contraddizione C dell'essente, nel gergo severiniano, cotraddizione che si toglie perché è già originariamente "posta come tolta") è la Gioia, quale coscienza incontrovertibile dell'immortalità dell'uomo che all'uomo per Severino è DOVUTA all'uomo ed è per l'appunto ciò che lo attende un istante dopo la morte!!! (non mancano le affinità, no? cfr. punto 2 qui sotto)
      ...Ma il divenire è passare dall'esser al non-essere e viceversa? Cosa è che passa, nel passaggio del divenire?
      (Siccome anche il sapere della contraddittorità del Divenire ovvero l'esperienza della contraddizione immanente al Divenire è essa stessa "Divenire", si scinderebbe un Divenire1 saputo che è contraddittorio in un Divenire2 che sa la contraddizione ed è incontraddittorio... ma questa divisione a me pare impraticabile, anzi essa stessa contraddittoria!).
      2)
      "il lumen gloriae [...] è addirittura un dovuto, perché il figlio ha diritto di vedere il Padre"
      cioè Dio, che crea liberamente, non sarebbe libero di fronte alla "inferiorità" ontologicamente (e quindi gnoseologicamente) deficitaria della creatura, "dovendola" salvare!?
      Tutto questo sa di "volontà di potenza" molto creaturale, troppo umana...
      O noi siamo Dio stesso, oppure se siamo in Dio senza essere Dio (senza esaurirlo, appunto senza fare "due" di Dio + Mondo, come sembra fare Bontadini, distinguendo in senso oppositivo il primo incontradditttorrio + il secondo contraddittorio),
      allora Dio rappresenta bensì la salvezza (altrettanto gratuita quanto la creazione) che però spetta SOLO alla creatura di fare propria e accogliere... altrettanto liberamente!
      E non spett a(d'obbligo!) a Dio infondere, per così dire...
      L'esito segnato, mi pare, sarebbe o una spinosissima "predestinazione" ... oppure la sua "altera facies" speculare ossia uno svuotamento di senso del concetto di Inferno quale immagine dell'errore irredimibile (l'impossibilità di "vedere il Padre"), che sussisterebbe bensì ma resterebbe "vuoto" (come diceva von Balthasar), immagine di una salvezza "obbligata" sia per il Padre (deve concederla) sia per i figli (non possono resisterla).
      A risentirci...
      Marco

    • @FilosofiaLiberata
      @FilosofiaLiberata  10 років тому

      Caro Marco,
      sono molto preso dai tempi di consegna di un libro di gnoseologia. Risponderò alla tua acutissima critica. Per ora, ti invito a riflettere sull'assoluto: quando costruiamo il concetto di assoluto (seguendo il mio ragionamento di "Causalità"), partiamo dall'intuizione dell'essere, e dell'essere molteplice e diveniente, ne rileviamo l'aporia: "l'affermazione dell'essere molteplice e diveniente non può venire dall'essere tout court.", e ne traiamo la conclusione: "quindi viene da ALTRO". Questo ALTRO è "altro-dal-molteplice" e dal "diveniente". Il peso semantico di questo ALTRO è dato dall'insieme del teorema, che va preso nell'insieme. Non può essere spezzato, non si può prenderne solo la conclusione: "ALTRO" e lavorarci sopra. Si lavorerebbe su un sema diverso, dedotto o comunque estrapolato. Si cadrebbe nell'ontologismo, o - peggio - su Spinoza.
      Mi pare il caso del tuo assoluto. Lo usi come se fosse un genere di essere-a-se-stante, indipendente. Mi sembra che tu concepisca da una parte il mondo e dall'altra l'assoluto o l'osservatore dell'assoluto, che è lo stesso di mondo. Intanto io sono partito dall'essere e non dal relativo. Il contenuto del mio essere-non-molteplice-e-non-diveniente sta nel teorema preso interamente: non posso lavorare su di esso come se si trattasse dell'assoluto, o di dio o - peggio - di Dio (quale? ne conosco migliaia), come fai tu: mi sembri Spinoza o Leibniz.
      Un'altra riflessione riguarda la differenza tra persona e natura (inventata apposta dai teologi del IV secolo d.C.). Mi sembra che l'espressione "il Logos si è fatto carne" non venga presa nella sua radicalità: l'Assoluto è diventato relativo pur restando se stesso! "Chi annusa me annusa [tocca, gusta, ascolta, vede] il Padre!". Siamo in teologia, è vero. Ma sappiamo che la gatta filosofa non si fa perdere nessun antro! Figurarsi il gatto Marco!
      a presto, Alberto Bassi

    • @kidmarco
      @kidmarco 10 років тому

      Nessun problema, Professore... "lo spirito non ha fretta" (Hegel).
      Anzi, mi faccia sapere quando darà alle stampe il Suo lavoro, cercherò di procurarmelo.
      Mi limito quindi ad un fugace "spot", in attesa di discuterne con Lei più analiticamente e con la dovuta tranquillità...
      La necessità della UNITA' del teorema ("che va preso nell'insieme") indica già di per sé che i momenti dell'aporia (essere molteplice, essere non-molteplice, soluzione dell'aporia) sono "successivi", logicamente, alla INTEREZZA teorematica (indivisibile).
      Non che si abbia intuizione intellettuale dell'essere, ma se ne sa (teorematicamente, come unico atto) la impossibilità che esso venga "prodotto" dai momenti di tale teorema: l'essere non è un "dimostrato" ma la dimostrazione della propria indimostrabilità!
      Detto altrimenti: l'Essere non può non coincidere con il Pensare (quindi, con nessuno dei pensati! rispetto ai quali è Altro),anzi esso "è" TEOREMA, teoresi.... e qualunque cosa di esso si dica o dimostri ricade in questo, senza essere ad esso coestensivo.
      "E' ed è concepito per sé", dicendo con Spinoza, e solo per sé!
      La sua UNITA' teorematica non può venire scissa in momenti, questo intendo dire... perché essa "presiede"anche tale scissione e ricomposizione (analisi-sintesi di momenti): in questo senso intendevo la sua assoluta "indipendenza" (come impossibilità di determinazione), non-predicabilità in quanto non-distinguibile.... esattamente il contrario di una concezione "di qua il mondo, di là Dio".
      E' l'essere massimamente intimo di Dio al mondo (appunto, in-distinguibile) la ratio del suo essere non-altro... ma, con ciò, anche massimamente-altro ovvero non-coincidente con NESSUN mondo (o, se preferisce, inesauribile).
      Come dire.... Dio si "vede" solo di spalle, come sapeva Mosé.
      "Vade retro" ha forse questo significato? "Mettiti dietro", guardami di spalle... puoi vedere di me solo la "traccia"...??
      In tal senso, io comprendo l'espressione "il Logos si è fatto carne" come "il Logos si fa (eternamente) carne"...ossia questo suo farsi carne (relativo) non è, appunto, che la sua "ombra", essendo il suo un eterno ed inesauribile "incarnarsi".
      Magari questo non è molto ortodosso, perché renderebbe la nascita del Figlio eterna, quindi non storica... senza di cui il Cristianesimo non sarebbe Cristianesimo (evento storico, nascita di Figlio unica ed irripetibile)... oppure ho ancora qualche speranza di non venire scomunicato?
      Buon lavoro... a presto!
      Un cordiale saluto.
      Marco

  • @Notteriva
    @Notteriva 8 років тому

    Un filosofo non dovrebbe avere figli biologici.