"Lou fol e l’apiot" | Racconti e leggende in occitano, variante della Val Pellice
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- Опубліковано 24 гру 2024
- Il patrimonio di racconti e leggende delle Valli Valdesi in Piemonte (val Pellice, val Germanasca e val Chisone) si presenta ricco e variegato, animato da personaggi immaginari quali fantine, diavoli, folletti e stregoni, e nel contempo, attraverso numerose leggende a carattere religioso e storico, ben radicato al territorio 📖
Tramandato per secoli oralmente, questo prezioso bagaglio narrativo e linguistico è stato poi trascritto all'inizio del secolo scorso; chi volesse approfondirne la conoscenza può sfogliare i volumi “Tradizioni orali delle valli valdesi del Piemonte” di Marie Bonnet, “Légendes des Vallées vaudoises” di Jean Jalla o i manuali di Teofilo G. Pons “Vita montanara e folklore nelle Valli Valdesi” e “Vita montanara e tradizioni popolari alpine (Valli Valdesi)”.
Attraverso questo video vogliamo raccontarvi una di queste leggende, “L'idiota e l'apiot”: questo racconto in occitano, nella variante della val Pellice è strettamente legato alla toponomastica locale della Val Pellice.
Testo in Italiano della leggenda "L'idiota e l'apiot" 🇮🇹👇🏻
Nella valle di San Martino c’era una volta una caverna. Nascosta da ogni parte da cespugli ed erbe alte, il passante la intravedeva appena, e generalmente non pensava di avventurarvisi. I vecchi contadini raccontavano che fosse abitata da graziose fantine, dai gonnellini corti e dalle grosse trecce. Un certo giovanotto, spinto dalla curiosità, si era permesso di introdursi nella caverna ma, alla prima parola, le fatine lo avevano cacciato fuori, coprendolo di botte. (min 0-60)
Un giorno che pioveva a dirotto, un ragazzo di vent’anni, idiota e muto, spaventato dai lampi e dai tuoni, entra precipitosamente nella caverna per ripararvisi. Subito una dozzina di fate lo circondano e gli fanno festa; il povero ragazzo rimane sconcertato e contempla con un sorriso ebete le damigelle che di disputano la loro nuova conquista, circondandolo di moine e di piccole gentilezze. Le fate, da parte loro, sono contente di vedere che il loro ospite non rivolge mai loro la parola, sottomettendosi così spontaneamente ai loro voleri. Per ricompensarlo, gli servono premurosamente un pasto succulento e, verso sera, quando il ragazzo si congeda, gli danno un’accetta d’oro adorna di brillanti e perle di gran valore. (min 1-2)
Il povero ragazzo, fuori di sé, corre d’un fiato dai genitori e mostra loro il prezioso utensile.
Il padre, povero operaio senza un soldo, vende subito l’accetta e con grande gioia ne ricava abbastanza denaro da acquistare una vasta distesa di terreno e di farci costruire una modesta casetta. Però. poiché teme l’invidia e le maldicenze dei vicini, lascia il paese natale e va a stabilirsi nella valle del Pellice. Chiama la sua casa “Apiot” in segno di riconoscenza; questo nome è rimasto fino ad oggi, non solo alla casa, ma a tutta la borgata circostante. (min 2-3)
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