I haven‘t read the book but i just watched the film. Michele, the man you don‘t know, even if he moves the lives of everybody. Mariangela Melatto is wonderful
Vorrei vedere il film ma allo stesso tempo ho il terrore che mi sfugga quella sensazione che mi è rimasta addosso dopo aver letto il libro, e che non riesca a ricordarla poi più
Sto leggendo Cara Michele di Natalia Ginzburg, riservandomi il pensiero alla fine della lettura. Ho scelto questo libro per una ragione: capire cosa fa e come si comporta una donna 'normale'. E si capisce benissimo. Tuttavia mi é totalmente alieno quell'insistenza, fino al limite del ricatto morale, ad emozioni vecchie, trite e ritrite, stanche e che non hanno piú nulla da dire. Emerge, ma questo é un elemento semmai saliente, una invocata quasi supplicata appartenenza ad un ambiente 'borghese' fatta di del giovedí (vedi pure Piero Chiara, Sveva Casati Modignani, ed ultima Elvira Seminara) di camerieri e cameriere. Anche qui una certa stanchezza e soprattutto una inespressa ferita interiore, come un senso di stranietá e di congenita non appartenenza. Certo non sono le smemoratezze del tipo 'ora non ne ricordo il nome' o 'al momento mi sfugge se fa di nome Cosina o Rosina' a vestire di chiccheria o, peggio, di snobismo intellettuale o esistenziale. Ma lo snobismo non era un vizio?
Di lei ho letto ed utilizzato LA FAMIGLIA MANZONI- Ho provato così tanta tenerezza per Enrichetta Blondel ed ho riflettuto sulla vedovanza dell'uomo! Non sa attaccarsi un bottone...come se la moglie fosse un accessorionecessario!Le mie nonne hanno rispettato la vedovanza e ritenevo che la donna anche per Amore verso i Figli, sapesse amare oltre la fisicità.
Il libro non scorre. E non scorre perché é decisamente un brutto libro. Non voglio oltrepassare i limiti del normale (sarebbe 3 ma per via di trucchi meschini, truffaldini e stupidini pare siano 2). 1.Il lessico, ridotto al colloquio banale del quotidiano, é familiare: da autentica tribù primitiva. Una tracimazione di nomi parentali in cui perdersi ed eguagliata solo dalla più moderna Margherita Oggero: la regina della cosecutio temporum. 2. Come in tutte le tribù ai primordi della civilizzazione culturale, anche la Ginzburg ha una idea semi mitologica della fantasmatica 'zia matilde'. Una zia che, va detto, nessuno conosce e su cui si può quindi soln fantasticare. Sinceramente preferisco allora la visione epica inglese di Ken Follet ne 'I pilastri della terra', in cui la zia Matilde é Matilde la pazza, rancorosa, crudele e vendicativa. Una specie di Crudelia de Moon che fabbrica cani dalmata, 101 e bianco neri, come fossero biscotti.
Inops potentem dum vult imitari, perit. Mamma mia che recensione! Ci hai fatto sapere che leggi Magherita Oggero, maestra, come scrivi, della “cosecutio” (senza N) temporum e Ken Follet. E questo ci fa molto piacere. Ci farebbe anche piacere che sulla E della terza persona del presente indicativo del verbo essere mettessi l’accento grave invece di quello acuto; ma questi sono dettagli. L’importante è il contenuto della critica, la quale ci informa che tu non vuoi oltrepassare i limiti del normale (normale? Quale normale?) i quali limiti sarebbero (ma tu scrivi “sarebbe”) 3; però, aggiungi poi, “per via di trucchi meschini, truffaldini e stupidini pare siano 2” (Boh! Chi ci ha capito qualcosa alzi la mano). Ma adesso arriva il bello. Scrivi che “il lessico, ridotto al colloquio banale del quotidiano, é (sic) familiare: da autentica tribù primitiva” (addirittura!). Io non ho mai sentito dialogare una tribù primitiva, ma so che il lessico quotidiano è fatto di parole semplici e spesso di argomenti banali. Così è almeno a casa mia. A casa tua invece evidentemente le cose vanno in modo diverso. A casa tua deve essere costantemente in corso una colta discussione piena di termini rari, preziosi e magari anche démodé, ma certamente molto chic. Quanto poi alla “fantasmatica” zia Matilde della quale Natalia Ginzburg avrebbe “un’idea semi mitologica” (???), leggo con sollievo che invece Ken Follet fa della sua Matilde (in un romanzo che peraltro si svolge nel XII secolo e non nel XX come Caro MIchele, ma anche questo è un dettaglio) una donna “pazza, rancorosa, crudele e vendicativa”. E sì, perché se una si chiama Matilde, deve essere per forza una vipera folle e velenosa. Ma non per colpa sua; probabilmente invece per colpa del nome che porta, il quale, derivando dal germanico Mahthildis che significa “forte in battaglia”, deve concedere a chi lo porta anche crudeltà e desiderio di vendetta. Ne deriva che ognuno è schiavo del significato del suo nome. Io per esempio che mi chiamo Corrado (dal tedesco Chun: audace e rad: consiglio) dovrei essere audace nel consiglio, e infatti lo sono e ti do l’audace suggerimento di lasciar perdere le recensioni, per le quali ti mancano le competenze e l’istruzione. In questo modo eviterai la figura dell’asino presuntuoso che hai fatto con questa. E arriviamo all’ultima chicca. Il personaggio della Carica dei 101 si chiama Crudelia De Mon, non “de Moon” come scrivi tu che la fai dunque arrivare dalla luna. È stata chiamata così in italiano per tradurre il gioco di parole inglese “de Vil” che suona come Devil, ossia diavolo, demone. Crudelia non “fabbrica cani dalmata (casomai dalmati; informati sui plurali) bianco neri” (sembra che parli dei tifosi della Juventus, e inoltre la specificazione non è necessaria, visto che non esistono cani dalmati di altri colori), ma li rapisce per scuoiarli e per farsene pellicce. P.S. La frase latina con la quale ho iniziato questo commento è l’incipit della favola La rana e il bue nella versione di Fedro, e dice che il debole che vuole imitare il potente, alla fine perisce. Per farti grande hai cercato di svilire una scrittrice del calibro di Natalia Ginzburg, davanti alla quale spariscono persone di talento (figuriamoci perciò uno come te) e immancabilmente, come la rana della favola, sei scoppiato. Bum!
I haven‘t read the book but i just watched the film. Michele, the man you don‘t know, even if he moves the lives of everybody. Mariangela Melatto is wonderful
Vorrei vedere il film ma allo stesso tempo ho il terrore che mi sfugga quella sensazione che mi è rimasta addosso dopo aver letto il libro, e che non riesca a ricordarla poi più
Sto leggendo Cara Michele di Natalia Ginzburg, riservandomi il pensiero alla fine della lettura. Ho scelto questo libro per una ragione: capire cosa fa e come si comporta una donna 'normale'. E si capisce benissimo. Tuttavia mi é totalmente alieno quell'insistenza, fino al limite del ricatto morale, ad emozioni vecchie, trite e ritrite, stanche e che non hanno piú nulla da dire. Emerge, ma questo é un elemento semmai saliente, una invocata quasi supplicata appartenenza ad un ambiente 'borghese' fatta di del giovedí (vedi pure Piero Chiara, Sveva Casati Modignani, ed ultima Elvira Seminara) di camerieri e cameriere. Anche qui una certa stanchezza e soprattutto una inespressa ferita interiore, come un senso di stranietá e di congenita non appartenenza. Certo non sono le smemoratezze del tipo 'ora non ne ricordo il nome' o 'al momento mi sfugge se fa di nome Cosina o Rosina' a vestire di chiccheria o, peggio, di snobismo intellettuale o esistenziale. Ma lo snobismo non era un vizio?
Di lei ho letto ed utilizzato LA FAMIGLIA MANZONI- Ho provato così tanta tenerezza per Enrichetta Blondel ed ho riflettuto sulla vedovanza dell'uomo! Non sa attaccarsi un bottone...come se la moglie fosse un accessorionecessario!Le mie nonne hanno rispettato la vedovanza e ritenevo che la donna anche per Amore verso i Figli, sapesse amare oltre la fisicità.
Buongiorno Luigi
Buongiorno
Il libro non scorre. E non scorre perché é decisamente un brutto libro. Non voglio oltrepassare i limiti del normale (sarebbe 3 ma per via di trucchi meschini, truffaldini e stupidini pare siano 2). 1.Il lessico, ridotto al colloquio banale del quotidiano, é familiare: da autentica tribù primitiva. Una tracimazione di nomi parentali in cui perdersi ed eguagliata solo dalla più moderna Margherita Oggero: la regina della cosecutio temporum. 2. Come in tutte le tribù ai primordi della civilizzazione culturale, anche la Ginzburg ha una idea semi mitologica della fantasmatica 'zia matilde'. Una zia che, va detto, nessuno conosce e su cui si può quindi soln fantasticare. Sinceramente preferisco allora la visione epica inglese di Ken Follet ne 'I pilastri della terra', in cui la zia Matilde é Matilde la pazza, rancorosa, crudele e vendicativa. Una specie di Crudelia de Moon che fabbrica cani dalmata, 101 e bianco neri, come fossero biscotti.
Inops potentem dum vult imitari, perit.
Mamma mia che recensione! Ci hai fatto sapere che leggi Magherita Oggero, maestra, come scrivi, della “cosecutio” (senza N) temporum e Ken Follet. E questo ci fa molto piacere. Ci farebbe anche piacere che sulla E della terza persona del presente indicativo del verbo essere mettessi l’accento grave invece di quello acuto; ma questi sono dettagli. L’importante è il contenuto della critica, la quale ci informa che tu non vuoi oltrepassare i limiti del normale (normale? Quale normale?) i quali limiti sarebbero (ma tu scrivi “sarebbe”) 3; però, aggiungi poi, “per via di trucchi meschini, truffaldini e stupidini pare siano 2” (Boh! Chi ci ha capito qualcosa alzi la mano). Ma adesso arriva il bello. Scrivi che “il lessico, ridotto al colloquio banale del quotidiano, é (sic) familiare: da autentica tribù primitiva” (addirittura!). Io non ho mai sentito dialogare una tribù primitiva, ma so che il lessico quotidiano è fatto di parole semplici e spesso di argomenti banali. Così è almeno a casa mia. A casa tua invece evidentemente le cose vanno in modo diverso. A casa tua deve essere costantemente in corso una colta discussione piena di termini rari, preziosi e magari anche démodé, ma certamente molto chic. Quanto poi alla “fantasmatica” zia Matilde della quale Natalia Ginzburg avrebbe “un’idea semi mitologica” (???), leggo con sollievo che invece Ken Follet fa della sua Matilde (in un romanzo che peraltro si svolge nel XII secolo e non nel XX come Caro MIchele, ma anche questo è un dettaglio) una donna “pazza, rancorosa, crudele e vendicativa”. E sì, perché se una si chiama Matilde, deve essere per forza una vipera folle e velenosa. Ma non per colpa sua; probabilmente invece per colpa del nome che porta, il quale, derivando dal germanico Mahthildis che significa “forte in battaglia”, deve concedere a chi lo porta anche crudeltà e desiderio di vendetta. Ne deriva che ognuno è schiavo del significato del suo nome. Io per esempio che mi chiamo Corrado (dal tedesco Chun: audace e rad: consiglio) dovrei essere audace nel consiglio, e infatti lo sono e ti do l’audace suggerimento di lasciar perdere le recensioni, per le quali ti mancano le competenze e l’istruzione. In questo modo eviterai la figura dell’asino presuntuoso che hai fatto con questa. E arriviamo all’ultima chicca. Il personaggio della Carica dei 101 si chiama Crudelia De Mon, non “de Moon” come scrivi tu che la fai dunque arrivare dalla luna. È stata chiamata così in italiano per tradurre il gioco di parole inglese “de Vil” che suona come Devil, ossia diavolo, demone. Crudelia non “fabbrica cani dalmata (casomai dalmati; informati sui plurali) bianco neri” (sembra che parli dei tifosi della Juventus, e inoltre la specificazione non è necessaria, visto che non esistono cani dalmati di altri colori), ma li rapisce per scuoiarli e per farsene pellicce.
P.S. La frase latina con la quale ho iniziato questo commento è l’incipit della favola La rana e il bue nella versione di Fedro, e dice che il debole che vuole imitare il potente, alla fine perisce. Per farti grande hai cercato di svilire una scrittrice del calibro di Natalia Ginzburg, davanti alla quale spariscono persone di talento (figuriamoci perciò uno come te) e immancabilmente, come la rana della favola, sei scoppiato. Bum!
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