Sinceramente, nonostante sia apprezzabile l'analisi, ci sono vari errori: L'italiano non è artificiale; non è stato creato, ma adottato dalle classi intellettuali italiane. La pronuncia dell'italiano è fondamentalmente quella arcaizzante del fiorentino dantesco, tempo in cui la famosa gorgia toscana non era ancora così diffusa, o nemmeno ancora sviluppatasi. I letterati hanno semmai influenzato certi aspetti della lingua, quale la predilezione per un linguaggio più prosaico piuttosto che uno aulico; Le lingue regionali non sono un misto tra le lingue locali parlate all'epoca e il latino, semmai sono l'evoluzione del latino parlato, con qualche influenza delle lingue precedenti; queste lingue, per lo più italiche, hanno costituito "substrato". Le lingue miste sono per definizione lingue "Creole"; Definizione che non si adatta alle varie lingue regionali.
@@matteobodei8577 no, i miei ci tenevano che parlassi solo in italiano... ho imparato la mia lingua regionale solo da ragazzino, e adesso sono felice di padroneggiarla bene. Sì, l'italiano è solitamente accompagnato dall'inflessione della zona in cui è parlato: ma è così per qualsiasi lingua del mondo, cosa che non vuol dire sia artificiale. Una lingua artificiale è l'esperanto, in quanto costruita a tavolino. L'Italiano è un'evoluzione del fiorentino duecentesco, con influenze delle varie lingue regionali, formalizzata da letterati come Bembo o Manzoni per dirne alcuni. Non per essere pignoli,si può essere madrelingua anche di una artificiale, caso che non si applica comunque per l'italiano
Approfitto della competenza per una domanda, scusandomi per i 6 mesi di ritardo. Dice la ragazza che i dialetti derivano dal latino, ma a mio parere hanno troppi punti in comune tra di loro e diversi dal latino, anche foneticamente. Ho sentito tempo fa uno studente di linguistica affermare che la parlata grosso modo dell'VIII secolo, non più latina dunque, aveva una versione interregionale da cui si sono poi sviluppati i vari dialetti, pur avendo ciascuno il proprio sostrato. Chiaro non abbiamo alcun documento di quell'epoca. L'indizio sarebbe la modifica in quel secolo della pronuncia del latino che diviene ecclesiastica vale a dire di tipo italiano. E' plausibile? Grazie se vorrai rispondermi
@@paolox2458 salve, nessun problema nel risponderti, anzi mi fa piacere nonostante io sia un novellino in questi studi: dipende da cosa intendi per latino, dato che questa lingua abbraccia millenni di storia, in cui si è evoluta in fonologia, grammatica e lessico. La lingua che probabilmente questo studente intendeva è quella che definiamo latino volgare, ossia una varietà del latino parlata per strada, spesso lontana dai canoni di Cicerone e Quintiliano. Vi è stato un passaggio graduale, in cui fenomeni già presenti da diverso tempo ( la perdita della pronuncia dell'h c'era già ai tempi di Cesare) hanno creato le lingue neolatine. Quindi l'italiano e i dialetti derivano sì dal latino evolutosi nei secoli, allontanandosi per certi versi gli uni dagli altri. Più si va indietro nel tempo, più questi si somigliano. Abbiamo testimonianze del latino parlato già sulle pareti pompeiane ( in cui spesso manca l'H) poi con l'iscrizione delle catacombe di Commodilla, e qualche tempo dopo con l'indovinello veronese ed il placito capuano ( questi due, nonostante la distanza geografica nella penisola, sono molto vicini per grafia e pronuncia ), e sono solo alcuni esempi. Spero di essere stato d'aiuto, saluti
@@antoniotempesta5456 no semmai è il contrario, e poi a livelli culturale come fai a dire che il siciliano non c'entra con l'italiano se le lingue sono praticamente simili, più di una lingua dell'estremo nord
Quello era l'inizio ma poi è stato preso il toscano come riferimento. Il fatto è che non esiste una lingua italiana, ma 30. Sceglierne una e pretendere di imporla sulle restanti ha un non so ché di suprematista, oltre ad essere una prevaricazione in cui il supposto prestigio appare solo come un pretesto.
@@Boretheory no hanno imposto il toscano per le 3 corone, ovvero Dante, Petrarca e Boccaccio, e anche per l'autorevolezza del de vulgaris eloquentia dove l'autoreverenzialita dell'autore lo porta a dire che il toscano è la lingua più adatta per una possibile letteratura italiana unitaria. Prima ogni zona usava la sua lingua locale per fare letteratura.
Quel che fa testo sono le prove documentali verificate e verificabili. La scuola siciliana può essere riflessa nella lingua volgare calabrese antecedente a Dante, sicuramente. Quel che stupisce, comunque, da quanto emerge dai commenti, in questo spazio di replica e comunicazione, è il fronte calabro-siculo molto affine e quello marchigiano o /e riconducibile all'area centrale e, forse, toscana. In tale prospettiva, comunque, resterebbe da comprendere bene certa, ipotetica《affinità o vicinanza linguistica》tra le volgari parlate di aree geografiche lontane tra di loro e di difficile raggiungimento fisico, tra l'altro. Basterebbe pensate all'atavico isolamento della allora Calabria, ad esempio, le cui vie di accesso interno erano il problema per antonomasia, fino in tempi a noi recenti. Una cosa che si può constatare è una certa similitudine tra il volgare calabrese od anche siciliano scritto, del XIII secolo, e il relativo vernacolo attuale, giusto per evidenziare che in tutto questo lasso di tempo la matrice linguistica non ha subito sostanziali variazioni. Del poco che se ne può dedurre, dunque, la paternità dell'attuale italiano non è certo ascrivibile al "volgare fiorentino" ma alla parlata calabrese, antecedente a Dantes e, in via subordinata, alla "Scuola siciliana" o, come qualche lettore ha asserito, riferibile a certa area marchigiana tutta da provare. Dantes è stato un uomo acculturato, è possibile che abbia conosciuto e preso in prestito per le sue opere una lingua alternativa al latino (lingua dei dotti e della Chiesa) e, probabilmente, al vero volgare fiorentino, magari meno gradevole e assai circoscritto? Questa aporia meriterebbe sicuro approfondimento ma i linguisti di mestiere... ruminano lo stesso boccone per mera negligenza, ottusità e convenienza... digerendo la solita inesattezza.
Veramente a seconda delle regioni, molte parole vengono dal greco e altre dal latino,,ad esempio,,cocomero e anguria, una dal greco e una dal latino, una al sud e l'altra al nord,,,,,
Lo sanno pure le pietre e il Sommo Poeta lo scrive pure che il volgare fiorentino è stato influenzato tantissimo dal volgare siciliano sviluppato alla corte di Federico II
@GLI ARGENTINI SONO ITALIANI questo lo pensi tu perche hai studiato solo la storia europea occidentale, vatti a vedere quanto antica e profonda è la storia dei traci ad esempio, più di 4000 anni di storia
@@piazzasquare Su questo ha ragione, infatti questi non sono "dialetti dell'italiano", ma lingue regionali e minoritarie d'Italia, è ben diverso. Si sono evolute parallelamente all'artificiale lingua oggi conosciuta come "italiano" e non discendono da essa.
@@gabrieledonofrio1612 non ricordo se era Jacopo da lentini... Cmq la poesia sembrava italiano, non ovviamente attuale, ma un siciliano diverso, e sempre non attuale cmq..
Mi chiedo solo perché "lingue" come il corso o altre assomigliano al siciliano, o è partito da lì la lingua "nazionale" fino ad aver influenzato le varie parlate oppure ha subito alcune trasformazioni da esse, lo stesso Dante ha subito influenze dalla Sicilia ..poi nel corso dei secoli è evidente una trasformazione dei dialetti/lingue.. Ovviamente ognuno ha la propria parlata ma da essere così comune?.. Non so
@@riccardosebis5333 Jacopo da lentini ha scritto in siciliano, le opere che conosciamo sono opere adattate in toscano, e non può avere scritto nulla per Eleonora d'arborea perché lei è vissuta 100 anni dopo. Quello che dicono nel video lo sa ogni linguista.
🇮🇹🤔MA QUALE LINGUA SI PARLAVA DAVVERO A ROMA? IL MISTERO DEL LATINO Di tutte le lingue cosiddette “morte” il latino è senza dubbio quella più “viva”, studiata da milioni di persone in tutto il mondo e considerata addirittura idioma ufficiale dalla Chiesa cattolica. Ovunque è ritenuta la lingua effettiva dell’antichità romana, simbolo stesso della sua storia e cultura fin dall’età più antica. Alla sua origine, però, c’è un mistero ancora irrisolto e spesso ignorato. Delle centinaia di migliaia di iscrizioni latine che si conoscono, sparse in un territorio che va dalla costa dell’Atlantico al mar Caspio e del Baltico al Sahara, meno di una decina sono antecedenti al III secolo a.C. e di queste solo due provengono sicuramente dal territorio di Roma. Sulle altre, ritrovate spesso in circostanze mai del tutto chiarite o alquanto frammentarie, è stato perfino sollevato il dubbio dell’autenticità. Questo è tanto più sorprendente se si considera che, per lo stesso periodo di riferimento, si contano diverse migliaia di iscrizioni redatte in etrusco e alcune di queste rinvenute nella stessa città di Roma. Eppure, i secoli che vanno dall’VIII al III a.C., sono tra i più importanti della storia romana, segnati politicamente dalla lunga fase monarchica, dal passaggio alla repubblica e dalle secolari vicende belliche contro i popoli latini e contro i sanniti, fino al primo scontro con Cartagine. Come è possibile che questa complessa stagione storica non abbia prodotto una quantità di documenti scritti pari a quella dei greci o almeno dei vicini etruschi? Alcuni testi politici e religiosi di cui abbiamo notizia per il periodo arcaico, come le leggi delle XII Tavole o i rituali dei collegi sacerdotali, ci sono stati trasmessi infatti solo da scrittori o testi epigrafici di epoche successive, anche di molti secoli. Anche in ambito letterario, del resto, non esistono autori antecedenti allo stesso periodo e i primi di cui abbiamo notizia, Livio Andronico, Nevio ed Ennio, sono traduttori dal greco o poeti. Sembra quasi che per il primo periodo della loro storia i romani non parlassero latino o che, comunque, questa lingua fosse limitata solo ad alcuni ambiti sociali e culturali, magari quello religioso e giuridico, e dunque appannaggio solo di certi gruppi di popolazione o ceti. Alcuni indizi sembrano confermare questa interessantissima e ardita ipotesi. Tra i pochissimi documenti del latino arcaico c’è il celeberrimo cippo del Lapis Niger, una blocco di pietra recante una lex sacra del VI secolo a.C. e piantato nel mezzo del Foro Romano. Per più di sei secoli questo monumento è rimasto sotto gli occhi di tutti, attirando l’attenzione di antichi storici e letterati, da Dionigi d’Alicarnasso a Festo, eppure nessuno di loro vi ha riconosciuto un testo in latino, né è sembrato comprendere il significato dell’iscrizione. Possibile che una forma arcaica della loro lingua fosse per loro addirittura inintelligibile? Tra le più antiche forme di teatro popolare, inoltre, c’erano i cosiddetti fescennini, rappresentazioni rustiche di carattere volgare e grottesco originarie dell’Etruria e recitate in lingua, eppure di amplissima diffusione. Ci sono poi le testimonianze offerte dagli storici, dove ogni romano, soldato, servo o donna che fosse, appare discutere normalmente con qualunque re o comandante etrusco senza l’ausilio di interpreti. A questo punto la questione linguistica degli antichi romani si fa alquanto complessa, almeno per ciò che riguarda i primi cinque secoli della loro storia. Come molte altre popolazioni italiche di origine indoeuropea, infatti, essi appartenevano linguisticamente al gruppo detto osco-umbro e presentavano affinità sia con i vicini sabini che con gli osci della Campania. La loro stretta relazione con gli etruschi, di cui subirono l’influenza culturale e perfino il dominio, li indusse però ad adottarne probabilmente la lingua, oltre che la forma di scrittura, come sembrano confermare sia i rinvenimenti epigrafici che il mantenimento di molte parole etrusche nel latino dei secoli successivi. L’idioma latino originario non venne comunque dimenticato ma rimase forse relegato al culto fino al III secolo a.C., quando fu recuperato e utilizzato sistematicamente in ogni ambito, forse per la precisa volontà di prendere le distanze dal mondo etrusco che Roma considerava ormai nemico. Secondo lo stesso principio, del resto, anche molte leggende legate alle origini della romanità abbandonarono i loro presupposti etruschi rivolgendosi verso la cultura latina (come nel caso di Romolo, che si cominciò a considerare nipote del re di Alba Numitore, anziché di re Tarchezio, dal nome più evidentemente etrusco). Ma in ogni caso l’affermazione del latino non fu mai totale. C’è da pensare che i romani non si riconoscessero completamente nella loro lingua ufficiale, cui mantennero sempre il nome di “latino”, legandola cioè a una etnia a cui si sentirono legati ma che considerarono sempre ostile o almeno altro da sé. Questo spiegherebbe anche la loro scarsa propensione nell’imporre un’uniformità linguistica nel vastissimo impero che andranno costituendo nella loro storia più che millenaria. A differenza di tutti gli altri popoli, infatti, i romani mantennero un tendenziale bilinguismo, consentendo che in tutta la parte orientale dei loro domini si conservasse l’uso della lingua greca, anche nelle istituzioni. Nella stessa Roma il greco rimase diffusissimo perfino all’interno della realtà domestica e non solo in famiglie di origine orientale. Anche a seguito della sua diffusione in molte province dell’impero, comunque, il latino subì forti localizzazioni assumendo pronunce molto differenti in base alle precedenti realtà linguistiche ed etniche. Il suo impianto non fu mai totale né radicale, tanto è vero che, nonostante più di mille anni di presenza romana, forti tracce delle lingue locali antecedenti al latino sono rimaste ben evidenti nei dialetti e negli idiomi delle regioni che fecero parte del mondo romano. E che dire della relativa velocità con cui, nell’alto Medioevo, l’uso del latino venne pressoché dimenticato quasi in tutta l’Europa e nella stessa Roma in favore del greco bizantino? Alla luce di queste considerazioni bisogna forse rivedere l’idea che abbiamo del latino e del suo peso nell’ambito della civiltà romana. C’è inoltre da chiedersi quanto dell’importanza che, per secoli, gli abbiamo tributato non sia piuttosto il retaggio di un preciso programma culturale o addirittura politico promosso nel Medioevo dal Sacro Romano Impero germanico e dalla Chiesa, che proprio della riaffermazione della lingua latina fecero una delle loro più importanti dichiarazioni di identità, mantenendone l’uso e lo studio fino a oggi… con buona pace di Cicerone e Quintiliano.
Questione estremamente dibattuta quella dell' "italiano standard", visto che ogni comunità di parlanti nativi italiani compresi nel raggio di poche decine di km, parla la sua variante di italiano. Anche all'interno di un'unica regione ci sono differenze notevoli nelle parlate, spostandosi anche solo di 30-40 km. Se poi prendiamo italiani di regioni diverse, anche confinanti, le differenze sono evidenti anche solo pronunciando una stessa breve frase (intonazione, pronuncia di fonemi, senza contare i dialettismi che vengono immessi anche nell'italiano nazionale). Per cui è molto difficile parlare di "italiano standard", anzi direi oggettivamente impossibile. Bisognerebbe crearlo ad hoc, se non fosse che le unificazioni delle lingue in una nazione sono imposte dalle dittature (in Russia ce l'hanno fatta a parlare tutti esattamente la stessa lingua con pochissime differenze da Kaliningrad a Vladivostok, per esempio), mentre ciò è impensabile nelle democrazie.
Beh qualche imperfezione: La prima opera in volgare è siciliana (Cieli d’Alcamo); Attribuendo al siciliano fama superiore. Beh il dis orso è un po’ più complesso però non solo il fiorentino…..
@@fabriziofalzone allora sei proprio di parte caro per non accorgerti che il vostro dialetto non ha nessuna similitudine con l'italiano.... bisogna proprio essere sordi o tonti per non capirlo
E secondo lei chi era STUPOR MUNDI E Jacopo da lentini ,e la chanson de province ed gli uccellini bolognesi che Dante diceva avrebbero fatto cadere Dal nido?
Lingua creata dagli intellettuali??? Mio dio!!!🤣🤣🤣 sembra una scelta fatta da geni e calata dall'alto dei cieli così a caso... fu codificata da dante petrarca e boccaccio
Avrei da contraddire gli italiani non sono un gruppo etnico unito e culturalmente malgrado più distanti degli altri italiani siamo comunque più vicini al resto degli Italiani che a un qualsiasi altro stato/cultura/lingua….inoltre non credo nessuno di noi Sardi voglia far la fine dei Corsi :D. Anche perchè non vedo quale altra scelta avremmo? La Spagna pure pratica repressione culturale e linguistica. L’Italia è l’unico stato Latino che non lo sta praticando per ora.
@@Boretheory culturalmente siamo vicini solo per l'italianizzazione forzata, ma siamo ancora molto differenti, linguisticamente nulla in comune, il dna piu affine a quello sardo è quello basco.
@@user-tt3nt7yv6z in realtà, ad oggi nessun ceppo genetico europeo è vicino a quello Sardo: i baschi sono per lo più iberici. I sardi, sebbene dimostrino affinità genetiche con questi, non ne sono poi geneticamente così vicini. Quella sarda è una popolazione isolata, con qualche gene nordafricano (specie nel sud dell'isola) o italico (specie nel nord dell'isola). Detto ciò credo che i sardi abbiano tutto il diritto di essere considerati italiani: sono parte integrante del nostro Paese. Saluti.
Volgare fiorentino? No, è uno scippo alla Calabria, prima di tutto, che aveva già la sua lingua volgare presa a prestito per elaborare l'italiano, nato in Calabria. Documenti ufficiali di biblioteca, a Firenze, attestano ciò, Dante o/e il volgare fiorentino è più recente, dunque: Wiki non docet.
@@lulai9595 Non direttamente ma cercando tra le carte notarili del XIII secolo, a Firenze (biblioteca) troverai che la lingua per redigere quegli atti ufficiali è quella che, impropriamente, viene definita, per scippo, per inesattezza o per deliberata volontà/disonestà di taluni.. come "volgare fiorentino" altro non è la la lingua volgare calabrese del periodo... cui Dantes rese omaggio e che era in nuce la base verosimile del nostro lontano italiano! Basta cercare le fonti... nel posto giusto: cerca e troverai.
Probabilmente il primo volgare italiano è stato scritto circa un secolo prima di Dante nell’ abbazia farfense di Santa Vittoria in Matenano nelle Marche in provincia di Fermo. il dialetto fermàno è sicuramente il più grammaticalmente coerente esigente e fornisce indicazioni e sfumature uniche che
Sinceramente non sopporto quelle persone che o per il loro dialetto o per il loro folclore regionale credono di essere qualcosa di diverso, di non essere italiani. Anche questa falsa credenza che il nord è diverso dal sud e viceversa. Tutto ciò mina l'integrità nazionale dell'Italia, un paese etnicamente, linguisticamente e culturalmente omogeneo
Storia fantastica 🇮🇹💙
Sinceramente, nonostante sia apprezzabile l'analisi, ci sono vari errori:
L'italiano non è artificiale; non è stato creato, ma adottato dalle classi intellettuali italiane.
La pronuncia dell'italiano è fondamentalmente quella arcaizzante del fiorentino dantesco, tempo in cui la famosa gorgia toscana non era ancora così diffusa, o nemmeno ancora sviluppatasi. I letterati hanno semmai influenzato certi aspetti della lingua, quale la predilezione per un linguaggio più prosaico piuttosto che uno aulico;
Le lingue regionali non sono un misto tra le lingue locali parlate all'epoca e il latino, semmai sono l'evoluzione del latino parlato, con qualche influenza delle lingue precedenti; queste lingue, per lo più italiche, hanno costituito "substrato". Le lingue miste sono per definizione lingue "Creole"; Definizione che non si adatta alle varie lingue regionali.
@@matteobodei8577 strano, perché l'italiano standard è la mia lingua madre...
@@matteobodei8577 no, i miei ci tenevano che parlassi solo in italiano... ho imparato la mia lingua regionale solo da ragazzino, e adesso sono felice di padroneggiarla bene. Sì, l'italiano è solitamente accompagnato dall'inflessione della zona in cui è parlato: ma è così per qualsiasi lingua del mondo, cosa che non vuol dire sia artificiale. Una lingua artificiale è l'esperanto, in quanto costruita a tavolino. L'Italiano è un'evoluzione del fiorentino duecentesco, con influenze delle varie lingue regionali, formalizzata da letterati come Bembo o Manzoni per dirne alcuni. Non per essere pignoli,si può essere madrelingua anche di una artificiale, caso che non si applica comunque per l'italiano
Approfitto della competenza per una domanda, scusandomi per i 6 mesi di ritardo. Dice la ragazza che i dialetti derivano dal latino, ma a mio parere hanno troppi punti in comune tra di loro e diversi dal latino, anche foneticamente. Ho sentito tempo fa uno studente di linguistica affermare che la parlata grosso modo dell'VIII secolo, non più latina dunque, aveva una versione interregionale da cui si sono poi sviluppati i vari dialetti, pur avendo ciascuno il proprio sostrato. Chiaro non abbiamo alcun documento di quell'epoca. L'indizio sarebbe la modifica in quel secolo della pronuncia del latino che diviene ecclesiastica vale a dire di tipo italiano. E' plausibile?
Grazie se vorrai rispondermi
@@paolox2458 salve, nessun problema nel risponderti, anzi mi fa piacere nonostante io sia un novellino in questi studi: dipende da cosa intendi per latino, dato che questa lingua abbraccia millenni di storia, in cui si è evoluta in fonologia, grammatica e lessico. La lingua che probabilmente questo studente intendeva è quella che definiamo latino volgare, ossia una varietà del latino parlata per strada, spesso lontana dai canoni di Cicerone e Quintiliano. Vi è stato un passaggio graduale, in cui fenomeni già presenti da diverso tempo ( la perdita della pronuncia dell'h c'era già ai tempi di Cesare) hanno creato le lingue neolatine. Quindi l'italiano e i dialetti derivano sì dal latino evolutosi nei secoli, allontanandosi per certi versi gli uni dagli altri. Più si va indietro nel tempo, più questi si somigliano. Abbiamo testimonianze del latino parlato già sulle pareti pompeiane ( in cui spesso manca l'H) poi con l'iscrizione delle catacombe di Commodilla, e qualche tempo dopo con l'indovinello veronese ed il placito capuano ( questi due, nonostante la distanza geografica nella penisola, sono molto vicini per grafia e pronuncia ), e sono solo alcuni esempi. Spero di essere stato d'aiuto, saluti
@@esti-od1mz Grazie
Riassunto: la lingua italiana non è altro che *un dialetto che ce l'ha fatta* 😂😂😂
Falso, l'italiano è quello che veniva parlato dagli intelletuali
Molti studi sostengono che la lingua italiana deriva dal siciliano del regno di Federico
Infatti ascoltando un siciliano si capisce che non ha nulla a che vedere con un italiano😁🤣🤣
@@antoniotempesta5456 cazzata assurda, visto che il siciliano all'estero è visto come il simbolo di italianità
@@mattia_exc3068 si vede che non sei stato all'estero
@@antoniotempesta5456 no semmai è il contrario, e poi a livelli culturale come fai a dire che il siciliano non c'entra con l'italiano se le lingue sono praticamente simili, più di una lingua dell'estremo nord
@@mattia_exc3068 il tuo commento denota la tua cultura: addio
Ciao Giulia, interessante la storia delle origini delle lingue d'Italia.
Sappi che non è stato Dante Alighieri ad "inventare" la lingua italiana, bensì l'imperatore Federico II di Svevia a Palermo!
L'italiano non deriva dal siciliano (così come il siciliano non deriva dall'italiano)
Nessuno a inventato niente
Amo il tuo canale
Grazie mille! ☺️
Il dolce stil novo,la lingua d'oc e d'oil, il provenzale,ecc.ecc.per essere più corretti,,,
La lingua italiana è nata dal volgare siciliano e non fiorentino, infatti la storia della letteratura italiana inizia con la scuola siciliana.
Quello era l'inizio ma poi è stato preso il toscano come riferimento.
Il fatto è che non esiste una lingua italiana, ma 30.
Sceglierne una e pretendere di imporla sulle restanti ha un non so ché di suprematista, oltre ad essere una prevaricazione in cui il supposto prestigio appare solo come un pretesto.
@@gabrieledonofrio1612 o semplicemente hanno preso quella più semplice e la hanno semplificata ancora di più.
@@Boretheory no hanno imposto il toscano per le 3 corone, ovvero Dante, Petrarca e Boccaccio, e anche per l'autorevolezza del de vulgaris eloquentia dove l'autoreverenzialita dell'autore lo porta a dire che il toscano è la lingua più adatta per una possibile letteratura italiana unitaria. Prima ogni zona usava la sua lingua locale per fare letteratura.
Quel che fa testo sono le prove documentali verificate e verificabili.
La scuola siciliana può essere riflessa nella lingua volgare calabrese antecedente a Dante, sicuramente.
Quel che stupisce, comunque, da quanto emerge dai commenti, in questo spazio di replica e comunicazione, è il fronte calabro-siculo molto affine e quello marchigiano o /e riconducibile all'area centrale e, forse, toscana.
In tale prospettiva, comunque, resterebbe da comprendere bene certa, ipotetica《affinità o vicinanza linguistica》tra le volgari parlate di aree geografiche lontane tra di loro e di difficile raggiungimento fisico, tra l'altro. Basterebbe pensate all'atavico isolamento della allora Calabria, ad esempio, le cui vie di accesso interno erano il problema per antonomasia, fino in tempi a noi recenti. Una cosa che si può constatare è una certa similitudine tra il volgare calabrese od anche siciliano scritto, del XIII secolo, e il relativo vernacolo attuale, giusto per evidenziare che in tutto questo lasso di tempo la matrice linguistica non ha subito sostanziali variazioni.
Del poco che se ne può dedurre, dunque, la paternità dell'attuale italiano non è certo ascrivibile al "volgare fiorentino" ma alla parlata calabrese, antecedente a Dantes e, in via subordinata, alla "Scuola siciliana" o, come qualche lettore ha asserito, riferibile a certa area marchigiana tutta da provare.
Dantes è stato un uomo acculturato, è possibile che abbia conosciuto e preso in prestito per le sue opere una lingua alternativa al latino (lingua dei dotti e della Chiesa) e, probabilmente, al vero volgare fiorentino, magari meno gradevole e assai circoscritto?
Questa aporia meriterebbe sicuro approfondimento ma i linguisti di mestiere... ruminano lo stesso boccone per mera negligenza, ottusità e convenienza... digerendo la solita inesattezza.
@@user-tt3nt7yv6z
Va ricordato che Petrarca, putacaso, andava a scuola di latino e greco in Calabria, dal suo immenso maestro Barlaam da Seminara.
Veramente a seconda delle regioni, molte parole vengono dal greco e altre dal latino,,ad esempio,,cocomero e anguria, una dal greco e una dal latino, una al sud e l'altra al nord,,,,,
In italiano tradizionale e nel centro Italia è cocomero, nei dialetti del sud Italia è melone d'acqua.
Lo sanno pure le pietre e il Sommo Poeta lo scrive pure che il volgare fiorentino è stato influenzato tantissimo dal volgare siciliano sviluppato alla corte di Federico II
Dimentichi una cosa che i fiorentini rubano le poesie dalla Sicilia e li traducono in quello che poi divenne la lingua italiana
Nella Roma arcaica non si parlava latino ma etrusco!🤓
👍ua-cam.com/video/Gl7c-7Bj8N4/v-deo.html
👍ua-cam.com/video/0LZ2tl0wvCk/v-deo.html
Si ma cosa c'entra? 😅
Nella roma arcaica, l'etrusco era la lingua della classe dominante, non del volgo.
@GLI ARGENTINI SONO ITALIANI questo lo pensi tu perche hai studiato solo la storia europea occidentale, vatti a vedere quanto antica e profonda è la storia dei traci ad esempio, più di 4000 anni di storia
@GLI ARGENTINI SONO ITALIANI si ma cosa c'entra? 😂
Roma non esisteva quando si parlava etrusco nel lazio
Tanti italiani che ancora oggi parlano solo il dialetto non sanno da dove arriva l'italiano dovresti rifare il titolo
Che titolo proponi? 😊
@@piazzasquare Sicuramente i dialetti non sono "Dialetti dell'Italiano" e' un titolo senza senso .
@@piazzasquare Su questo ha ragione, infatti questi non sono "dialetti dell'italiano", ma lingue regionali e minoritarie d'Italia, è ben diverso.
Si sono evolute parallelamente all'artificiale lingua oggi conosciuta come "italiano" e non discendono da essa.
@@piazzasquare Sicuramente un sardo o un napoletano non pensano di parlare un "Dialetto dell'italiano"
@@azzurroop7312 Infatti, ma penso che i ragazzi di piazza square lo sappiano molto bene, si sono solo espressi male nel titolo
Mbah, un poeta siciliano che dedico una poesia a Eleonora d'arborea, proprio in siciliano contraddice abbastanza un po' di cose
Chi era il poeta di cui parli? E quali cose ha smentito?
@@gabrieledonofrio1612 non ricordo se era Jacopo da lentini... Cmq la poesia sembrava italiano, non ovviamente attuale, ma un siciliano diverso, e sempre non attuale cmq..
Mi chiedo solo perché "lingue" come il corso o altre assomigliano al siciliano, o è partito da lì la lingua "nazionale" fino ad aver influenzato le varie parlate oppure ha subito alcune trasformazioni da esse, lo stesso Dante ha subito influenze dalla Sicilia ..poi nel corso dei secoli è evidente una trasformazione dei dialetti/lingue.. Ovviamente ognuno ha la propria parlata ma da essere così comune?.. Non so
E c'è da dire che il corso ha alcune affinità col sardo poi, dopo che le due lingue hanno preso strade diverse dal medioevo in poi..
@@riccardosebis5333 Jacopo da lentini ha scritto in siciliano, le opere che conosciamo sono opere adattate in toscano, e non può avere scritto nulla per Eleonora d'arborea perché lei è vissuta 100 anni dopo. Quello che dicono nel video lo sa ogni linguista.
Non è propriamente così. Però va bene,non si può pretendere più di tanto.
🇮🇹🤔MA QUALE LINGUA SI PARLAVA DAVVERO A ROMA? IL MISTERO DEL LATINO
Di tutte le lingue cosiddette “morte” il latino è senza dubbio quella più “viva”, studiata da milioni di persone in tutto il mondo e considerata addirittura idioma ufficiale dalla Chiesa cattolica. Ovunque è ritenuta la lingua effettiva dell’antichità romana, simbolo stesso della sua storia e cultura fin dall’età più antica. Alla sua origine, però, c’è un mistero ancora irrisolto e spesso ignorato. Delle centinaia di migliaia di iscrizioni latine che si conoscono, sparse in un territorio che va dalla costa dell’Atlantico al mar Caspio e del Baltico al Sahara, meno di una decina sono antecedenti al III secolo a.C. e di queste solo due provengono sicuramente dal territorio di Roma. Sulle altre, ritrovate spesso in circostanze mai del tutto chiarite o alquanto frammentarie, è stato perfino sollevato il dubbio dell’autenticità. Questo è tanto più sorprendente se si considera che, per lo stesso periodo di riferimento, si contano diverse migliaia di iscrizioni redatte in etrusco e alcune di queste rinvenute nella stessa città di Roma. Eppure, i secoli che vanno dall’VIII al III a.C., sono tra i più importanti della storia romana, segnati politicamente dalla lunga fase monarchica, dal passaggio alla repubblica e dalle secolari vicende belliche contro i popoli latini e contro i sanniti, fino al primo scontro con Cartagine. Come è possibile che questa complessa stagione storica non abbia prodotto una quantità di documenti scritti pari a quella dei greci o almeno dei vicini etruschi?
Alcuni testi politici e religiosi di cui abbiamo notizia per il periodo arcaico, come le leggi delle XII Tavole o i rituali dei collegi sacerdotali, ci sono stati trasmessi infatti solo da scrittori o testi epigrafici di epoche successive, anche di molti secoli. Anche in ambito letterario, del resto, non esistono autori antecedenti allo stesso periodo e i primi di cui abbiamo notizia, Livio Andronico, Nevio ed Ennio, sono traduttori dal greco o poeti.
Sembra quasi che per il primo periodo della loro storia i romani non parlassero latino o che, comunque, questa lingua fosse limitata solo ad alcuni ambiti sociali e culturali, magari quello religioso e giuridico, e dunque appannaggio solo di certi gruppi di popolazione o ceti. Alcuni indizi sembrano confermare questa interessantissima e ardita ipotesi.
Tra i pochissimi documenti del latino arcaico c’è il celeberrimo cippo del Lapis Niger, una blocco di pietra recante una lex sacra del VI secolo a.C. e piantato nel mezzo del Foro Romano. Per più di sei secoli questo monumento è rimasto sotto gli occhi di tutti, attirando l’attenzione di antichi storici e letterati, da Dionigi d’Alicarnasso a Festo, eppure nessuno di loro vi ha riconosciuto un testo in latino, né è sembrato comprendere il significato dell’iscrizione. Possibile che una forma arcaica della loro lingua fosse per loro addirittura inintelligibile?
Tra le più antiche forme di teatro popolare, inoltre, c’erano i cosiddetti fescennini, rappresentazioni rustiche di carattere volgare e grottesco originarie dell’Etruria e recitate in lingua, eppure di amplissima diffusione. Ci sono poi le testimonianze offerte dagli storici, dove ogni romano, soldato, servo o donna che fosse, appare discutere normalmente con qualunque re o comandante etrusco senza l’ausilio di interpreti.
A questo punto la questione linguistica degli antichi romani si fa alquanto complessa, almeno per ciò che riguarda i primi cinque secoli della loro storia. Come molte altre popolazioni italiche di origine indoeuropea, infatti, essi appartenevano linguisticamente al gruppo detto osco-umbro e presentavano affinità sia con i vicini sabini che con gli osci della Campania. La loro stretta relazione con gli etruschi, di cui subirono l’influenza culturale e perfino il dominio, li indusse però ad adottarne probabilmente la lingua, oltre che la forma di scrittura, come sembrano confermare sia i rinvenimenti epigrafici che il mantenimento di molte parole etrusche nel latino dei secoli successivi. L’idioma latino originario non venne comunque dimenticato ma rimase forse relegato al culto fino al III secolo a.C., quando fu recuperato e utilizzato sistematicamente in ogni ambito, forse per la precisa volontà di prendere le distanze dal mondo etrusco che Roma considerava ormai nemico. Secondo lo stesso principio, del resto, anche molte leggende legate alle origini della romanità abbandonarono i loro presupposti etruschi rivolgendosi verso la cultura latina (come nel caso di Romolo, che si cominciò a considerare nipote del re di Alba Numitore, anziché di re Tarchezio, dal nome più evidentemente etrusco).
Ma in ogni caso l’affermazione del latino non fu mai totale. C’è da pensare che i romani non si riconoscessero completamente nella loro lingua ufficiale, cui mantennero sempre il nome di “latino”, legandola cioè a una etnia a cui si sentirono legati ma che considerarono sempre ostile o almeno altro da sé. Questo spiegherebbe anche la loro scarsa propensione nell’imporre un’uniformità linguistica nel vastissimo impero che andranno costituendo nella loro storia più che millenaria.
A differenza di tutti gli altri popoli, infatti, i romani mantennero un tendenziale bilinguismo, consentendo che in tutta la parte orientale dei loro domini si conservasse l’uso della lingua greca, anche nelle istituzioni. Nella stessa Roma il greco rimase diffusissimo perfino all’interno della realtà domestica e non solo in famiglie di origine orientale.
Anche a seguito della sua diffusione in molte province dell’impero, comunque, il latino subì forti localizzazioni assumendo pronunce molto differenti in base alle precedenti realtà linguistiche ed etniche. Il suo impianto non fu mai totale né radicale, tanto è vero che, nonostante più di mille anni di presenza romana, forti tracce delle lingue locali antecedenti al latino sono rimaste ben evidenti nei dialetti e negli idiomi delle regioni che fecero parte del mondo romano. E che dire della relativa velocità con cui, nell’alto Medioevo, l’uso del latino venne pressoché dimenticato quasi in tutta l’Europa e nella stessa Roma in favore del greco bizantino?
Alla luce di queste considerazioni bisogna forse rivedere l’idea che abbiamo del latino e del suo peso nell’ambito della civiltà romana. C’è inoltre da chiedersi quanto dell’importanza che, per secoli, gli abbiamo tributato non sia piuttosto il retaggio di un preciso programma culturale o addirittura politico promosso nel Medioevo dal Sacro Romano Impero germanico e dalla Chiesa, che proprio della riaffermazione della lingua latina fecero una delle loro più importanti dichiarazioni di identità, mantenendone l’uso e lo studio fino a oggi… con buona pace di Cicerone e Quintiliano.
un po’ troppo complottista
@@lorenzomilani9611 condivido.
Questione estremamente dibattuta quella dell' "italiano standard", visto che ogni comunità di parlanti nativi italiani compresi nel raggio di poche decine di km, parla la sua variante di italiano. Anche all'interno di un'unica regione ci sono differenze notevoli nelle parlate, spostandosi anche solo di 30-40 km. Se poi prendiamo italiani di regioni diverse, anche confinanti, le differenze sono evidenti anche solo pronunciando una stessa breve frase (intonazione, pronuncia di fonemi, senza contare i dialettismi che vengono immessi anche nell'italiano nazionale). Per cui è molto difficile parlare di "italiano standard", anzi direi oggettivamente impossibile. Bisognerebbe crearlo ad hoc, se non fosse che le unificazioni delle lingue in una nazione sono imposte dalle dittature (in Russia ce l'hanno fatta a parlare tutti esattamente la stessa lingua con pochissime differenze da Kaliningrad a Vladivostok, per esempio), mentre ciò è impensabile nelle democrazie.
Consiglio questo video umoristico di Enrico Brignano sui dialetti italiani
ua-cam.com/video/yHDJzCEmn-8/v-deo.html
💚💚💚
Si ciaone....fai solo un pochino di casino. Studia qualcosa di diverso da wikipedia .
Tuto italia ex albania ogi e italia voi siete origina 100% albanese 🇦🇱
Beh qualche imperfezione:
La prima opera in volgare è siciliana (Cieli d’Alcamo);
Attribuendo al siciliano fama superiore. Beh il dis orso è un po’ più complesso però non solo il fiorentino…..
Infatti se senti parlare il siciliano si capisce che non hanno nulla a che fare con l'italia😁🤣🤣
@@antoniotempesta5456 beh se avessi studiato la letteratura italiana e con conoscessi bene il siciliano non parleresti così
@@fabriziofalzone se fossi obiettivo non parleresti così
@@antoniotempesta5456 posso essere di parte (ma di cosa?) però i libri dicono questo
@@fabriziofalzone allora sei proprio di parte caro per non accorgerti che il vostro dialetto non ha nessuna similitudine con l'italiano.... bisogna proprio essere sordi o tonti per non capirlo
E secondo lei chi era STUPOR MUNDI
E Jacopo da lentini ,e la chanson de province ed gli uccellini bolognesi che Dante diceva avrebbero fatto cadere
Dal nido?
Lingua creata dagli intellettuali??? Mio dio!!!🤣🤣🤣 sembra una scelta fatta da geni e calata dall'alto dei cieli così a caso... fu codificata da dante petrarca e boccaccio
IC SUNT LEONES..QUI CI SONO I LEONI .piero roma
❤😂🎉😢😮😅😅😊caio
Dai parlami dell’accadico e del sardo 🤦
L'unica cosa su cui aveva ragione Dante è che i sardi non sono italiani ("latii non sunt").
Avrei da contraddire gli italiani non sono un gruppo etnico unito e culturalmente malgrado più distanti degli altri italiani siamo comunque più vicini al resto degli Italiani che a un qualsiasi altro stato/cultura/lingua….inoltre non credo nessuno di noi Sardi voglia far la fine dei Corsi :D. Anche perchè non vedo quale altra scelta avremmo? La Spagna pure pratica repressione culturale e linguistica. L’Italia è l’unico stato Latino che non lo sta praticando per ora.
@@Boretheory veramente l'italia pratica repressione linguistica e la Spagna riconosce ben 4 lingue coufficiali.
@@Boretheory culturalmente siamo vicini solo per l'italianizzazione forzata, ma siamo ancora molto differenti, linguisticamente nulla in comune, il dna piu affine a quello sardo è quello basco.
@@user-tt3nt7yv6z proprio così!
@@user-tt3nt7yv6z in realtà, ad oggi nessun ceppo genetico europeo è vicino a quello Sardo: i baschi sono per lo più iberici. I sardi, sebbene dimostrino affinità genetiche con questi, non ne sono poi geneticamente così vicini. Quella sarda è una popolazione isolata, con qualche gene nordafricano (specie nel sud dell'isola) o italico (specie nel nord dell'isola). Detto ciò credo che i sardi abbiano tutto il diritto di essere considerati italiani: sono parte integrante del nostro Paese. Saluti.
Stai sbagliando tutto
Volgare fiorentino?
No, è uno scippo alla Calabria, prima di tutto, che aveva già la sua lingua volgare presa a prestito per elaborare l'italiano, nato in Calabria.
Documenti ufficiali di biblioteca, a Firenze, attestano ciò, Dante o/e il volgare fiorentino è più recente, dunque: Wiki non docet.
Hai delle fonti da passarmi in merito? L'argomento mi interessa molto
@@lulai9595
Non direttamente ma cercando tra le carte notarili del XIII secolo, a Firenze (biblioteca) troverai che la lingua per redigere quegli atti ufficiali è quella che, impropriamente, viene definita, per scippo, per inesattezza o per deliberata volontà/disonestà di taluni.. come "volgare fiorentino" altro non è la la lingua volgare calabrese del periodo... cui Dantes rese omaggio e che era in nuce la base verosimile del nostro lontano italiano!
Basta cercare le fonti... nel posto giusto: cerca e troverai.
Probabilmente il primo volgare italiano è stato scritto circa un secolo prima di Dante nell’ abbazia farfense di Santa Vittoria in Matenano nelle Marche in provincia di Fermo. il dialetto fermàno è sicuramente il più grammaticalmente coerente esigente e fornisce indicazioni e sfumature uniche che
Oh comunque quella che oggi chiamiamo "italiano" sempre una lingua artificiale e costruita a tavolino rimane.
@@gabrieledonofrio1612 su quello non ci sono dubbi né il minimo modo per smentire
Sinceramente non sopporto quelle persone che o per il loro dialetto o per il loro folclore regionale credono di essere qualcosa di diverso, di non essere italiani. Anche questa falsa credenza che il nord è diverso dal sud e viceversa. Tutto ciò mina l'integrità nazionale dell'Italia, un paese etnicamente, linguisticamente e culturalmente omogeneo
Non è corretto