Ciao Anto, grande! (sono Alle Sevardi), complimenti per il video. Un breve commento a proposito di quanto sostenuto da Luca a inizio video riguardo lo statuto del metodo scientifico in filosofia della scienza. Io sottoscrivo la maggior parte del suo discorso, ma porto avanti anche un'intenzione ulteriormente radicalizzatrice di alcune istanze. Non solo è difficile definire un metodo scientifico per certe scienze (molli, o pseudo). Bisogna vedere quali sono gli assunti implicitamente accettati su cui fondiamo la nostra deduzione teoretica. Ad esempio nel caso esposto da Luca a proposito del rapporto tra numeri e cose (i numeri sono oggetti astratti dunque no sperimentazione), in qualche modo presuppone come evidente e originaria una distinzione ontologica tra immagine e percezione, come se fosse ben chiara la differenza. Normalmente questa visione attribuisce arbitrariamente alla percezione un primato sull'immagine e a quest'ultima uno statuto derivato come copia della prima (ma quale esperienz non è interpretazione?). Eppure affidandoci alle parole di uno dei più grandi pragmatisti americani (Peirce il quale ci ha mostrato come ogni intuizione sia un procedimento inferenziale e non capace di porsi direttamente in rapporto con la cosa stessa, come si è a torto pensato per tutta la storia della metafisica occidentale, denominata non a caso metafisica della presenza) a quelle di uno dei più grandi post-moderni francesi (Derrida, che con il suo uno infondabile ha interrogato a fondo le questioni relative proprioa queste distinzioni dualistiche, come tra immagine e percezione) e al nostro Carlo Sini nazionale, possiamo problematizzare ampiamente la questione e osservare come in origine la realtà sia un rimando segnico indefinito che definisce per differenza, tutte le distinzioni dualistiche tipiche della tradizione occidentale, come "Anima-Corpo", "Vita-Morte", "Spirito-Materia", fondano la propria possibilità su questa distanza originaria e non sono altro che conseguenze di questa pragmatica concreta originaria (non in senso ontologico, ma meologico, ovvero un Ontologia dell'Uno come non, non un'ontologia dell'uno alla Parmenide). Spesso quando si trattano questi temi si presuppone erroneamente ancora la possibilità del raggiungimento strumentale della verità, come se fosse qualcosa che prescindesse dal movimento da compiersi per raggiungerla. Mi sembra molto problematico il rapporto con la sperimentazione, tra verificazionismi e falsificazionismi vari. Sul formale e linguaggi formalizzati varie, stesse problematiche.
Ciao caro, grazie per il contributo. Ricordo che mi avevi accennato un simile discorso l'ultima volta. Dunque, non c'è dubbio che certi meta-ragionamenti che vanno un po' a tastare e a volte scardinare tutto ciò che è implicito etc. possano avere un valore. In generale, mi sembra utile chiarire che Luca spiega come anche per le scienze cosiddette "dure" un "metodo scientifico" in sé non esista. Esistono infatti diversi metodi di studio, affinati nel tempo anche a seconda dell'oggetto di studio. Venendo a ciò che dici, al di là del singolo esempio che hai fatto (su cui possiamo tornare, ma non mi sembra il punto) sicuramente, come dici tu, un aspetto storico e culturale ha un influenza, e una tendenza a concepirsi come "staccati" e neutri dal processo di ricerca e dall'elemento "verità" (concetto abbastanza problematico) esiste. Ma attenzione: ad esempio nelle scienze sociali si parla anche di "reflexivity" (a cui ti rimando, prova a dare un'occhiata. Potrebbe interessarti) e ci sono inoltre molte più riflessioni e consapevolezze sui research methods and design che vanno proprio nella direzione di cui tu parli. In ogni caso, qual è la discriminante? A mio avviso è semplice: la solidità del risultato e quanto questo sia in grado di sopportare smentita.
@antonio.belfiore ciao Anto grazie mille a te per la risposta. Avendo spulciato un attimo in rete qualcosa a proposito di questo processo di Riflessività, sembra comunque essere un approccio che rimane in parte radicato nelle questioni da cui volevo sradicarmi. Quando si afferma nella descrizione di questo processo che "l'autoanalisi e le operazioni teoretiche dell'attore influenzano lo stato del sistema in analisi" (vedo forti richiami alla quantistica e ad Heisenberg), si continua a presupporre come evidenza originaria e costitutiva la distinzione dualistica soggetto-oggetto. Chiaramente è necessario al sistema per operare e conoscere presupporre questo dualismo, in tal modo vediamo che molte cose funzionano, possiamo avvalerci di categorie concettuali che ci fanno sentire molto potenti, addirittura ci permettono di viaggiare nello spazio e nel mondo subatomico. Ciò che cercavo di fare era quanto meno problematizzare questi approcci facendo notare come sia difficile in realtà e tutt'altro che originario ed evidente spaccare a metà l'esperienza tra percipiente e percepito. Pensare ciò come oroginario porta alla cosiddetta illusione di immanenza. Ciò comporta l'immotivata credenza che le immagini siano qualcosa di distinto dalle percezioni e che si collochino "dentro" la testa di qualcuno. Si può vedere con l'esempio del cervello il problema che vien fuori : se da un lato si pensa che dal cervello dipenda la vista (per altro argomento controverso se si considerano le problematiche relative al concetto di causalità e dunque dipendenza) dall'altro lato il cervello stesso è qualcosa che appare nella vista, non si è mai visto un cervello non visto che dicesse io produco la vista. Mi premeva semplicemente portare avanti questa problematizzazione della questione perché a mio giudizio è fortemente affascinante
Ho capito perfettamente il tuo punto e anch'io credo che certe riflessioni siano rilevanti. Con il tema dell'opposizione binaria si tratta, come sempre e in ogni caso, di accettare compromessi teorici per poter comunque fare scoperte etc. La riflessività almeno avverte e rende consapevoli del fatto che la ricerca non è mai svincolata da processi insiti al ricercatore. La vita è compromesso
Grazie per l'invito e la bella chiacchierata :)
È stato un vero piacere!
Molto interessante! Mi ha aperto gli occhi sulla disciplina e ha creato spiragli per un futuro approfondimento. Grazie
Grazie a te!
Bellissimo video❤
Grazie!
🔥🔥
Ciao Anto, grande! (sono Alle Sevardi), complimenti per il video. Un breve commento a proposito di quanto sostenuto da Luca a inizio video riguardo lo statuto del metodo scientifico in filosofia della scienza. Io sottoscrivo la maggior parte del suo discorso, ma porto avanti anche un'intenzione ulteriormente radicalizzatrice di alcune istanze. Non solo è difficile definire un metodo scientifico per certe scienze (molli, o pseudo). Bisogna vedere quali sono gli assunti implicitamente accettati su cui fondiamo la nostra deduzione teoretica. Ad esempio nel caso esposto da Luca a proposito del rapporto tra numeri e cose (i numeri sono oggetti astratti dunque no sperimentazione), in qualche modo presuppone come evidente e originaria una distinzione ontologica tra immagine e percezione, come se fosse ben chiara la differenza. Normalmente questa visione attribuisce arbitrariamente alla percezione un primato sull'immagine e a quest'ultima uno statuto derivato come copia della prima (ma quale esperienz non è interpretazione?). Eppure affidandoci alle parole di uno dei più grandi pragmatisti americani (Peirce il quale ci ha mostrato come ogni intuizione sia un procedimento inferenziale e non capace di porsi direttamente in rapporto con la cosa stessa, come si è a torto pensato per tutta la storia della metafisica occidentale, denominata non a caso metafisica della presenza) a quelle di uno dei più grandi post-moderni francesi (Derrida, che con il suo uno infondabile ha interrogato a fondo le questioni relative proprioa queste distinzioni dualistiche, come tra immagine e percezione) e al nostro Carlo Sini nazionale, possiamo problematizzare ampiamente la questione e osservare come in origine la realtà sia un rimando segnico indefinito che definisce per differenza, tutte le distinzioni dualistiche tipiche della tradizione occidentale, come "Anima-Corpo", "Vita-Morte", "Spirito-Materia", fondano la propria possibilità su questa distanza originaria e non sono altro che conseguenze di questa pragmatica concreta originaria (non in senso ontologico, ma meologico, ovvero un Ontologia dell'Uno come non, non un'ontologia dell'uno alla Parmenide). Spesso quando si trattano questi temi si presuppone erroneamente ancora la possibilità del raggiungimento strumentale della verità, come se fosse qualcosa che prescindesse dal movimento da compiersi per raggiungerla. Mi sembra molto problematico il rapporto con la sperimentazione, tra verificazionismi e falsificazionismi vari. Sul formale e linguaggi formalizzati varie, stesse problematiche.
Ciao caro, grazie per il contributo. Ricordo che mi avevi accennato un simile discorso l'ultima volta.
Dunque, non c'è dubbio che certi meta-ragionamenti che vanno un po' a tastare e a volte scardinare tutto ciò che è implicito etc. possano avere un valore.
In generale, mi sembra utile chiarire che Luca spiega come anche per le scienze cosiddette "dure" un "metodo scientifico" in sé non esista. Esistono infatti diversi metodi di studio, affinati nel tempo anche a seconda dell'oggetto di studio.
Venendo a ciò che dici, al di là del singolo esempio che hai fatto (su cui possiamo tornare, ma non mi sembra il punto) sicuramente, come dici tu, un aspetto storico e culturale ha un influenza, e una tendenza a concepirsi come "staccati" e neutri dal processo di ricerca e dall'elemento "verità" (concetto abbastanza problematico) esiste. Ma attenzione: ad esempio nelle scienze sociali si parla anche di "reflexivity" (a cui ti rimando, prova a dare un'occhiata. Potrebbe interessarti) e ci sono inoltre molte più riflessioni e consapevolezze sui research methods and design che vanno proprio nella direzione di cui tu parli.
In ogni caso, qual è la discriminante? A mio avviso è semplice: la solidità del risultato e quanto questo sia in grado di sopportare smentita.
@antonio.belfiore ciao Anto grazie mille a te per la risposta. Avendo spulciato un attimo in rete qualcosa a proposito di questo processo di Riflessività, sembra comunque essere un approccio che rimane in parte radicato nelle questioni da cui volevo sradicarmi. Quando si afferma nella descrizione di questo processo che "l'autoanalisi e le operazioni teoretiche dell'attore influenzano lo stato del sistema in analisi" (vedo forti richiami alla quantistica e ad Heisenberg), si continua a presupporre come evidenza originaria e costitutiva la distinzione dualistica soggetto-oggetto. Chiaramente è necessario al sistema per operare e conoscere presupporre questo dualismo, in tal modo vediamo che molte cose funzionano, possiamo avvalerci di categorie concettuali che ci fanno sentire molto potenti, addirittura ci permettono di viaggiare nello spazio e nel mondo subatomico. Ciò che cercavo di fare era quanto meno problematizzare questi approcci facendo notare come sia difficile in realtà e tutt'altro che originario ed evidente spaccare a metà l'esperienza tra percipiente e percepito. Pensare ciò come oroginario porta alla cosiddetta illusione di immanenza. Ciò comporta l'immotivata credenza che le immagini siano qualcosa di distinto dalle percezioni e che si collochino "dentro" la testa di qualcuno. Si può vedere con l'esempio del cervello il problema che vien fuori : se da un lato si pensa che dal cervello dipenda la vista (per altro argomento controverso se si considerano le problematiche relative al concetto di causalità e dunque dipendenza) dall'altro lato il cervello stesso è qualcosa che appare nella vista, non si è mai visto un cervello non visto che dicesse io produco la vista. Mi premeva semplicemente portare avanti questa problematizzazione della questione perché a mio giudizio è fortemente affascinante
Ho capito perfettamente il tuo punto e anch'io credo che certe riflessioni siano rilevanti.
Con il tema dell'opposizione binaria si tratta, come sempre e in ogni caso, di accettare compromessi teorici per poter comunque fare scoperte etc. La riflessività almeno avverte e rende consapevoli del fatto che la ricerca non è mai svincolata da processi insiti al ricercatore.
La vita è compromesso