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  • Опубліковано 30 жов 2024

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  • @nemosancti-newmodelsofsanc1117
    @nemosancti-newmodelsofsanc1117  4 роки тому

    ABSTRACT
    [ENGLISH]
    The Form of Life of Sanctity in Music beyond Hagiography: The Case of John Coltrane and his Ascension
    Interviewer: “You would like to be a saint, huh?”
    John Coltrane: “Definitely” (in De Vito 2010, pp. 269-270)
    If “forms of life” are defined as embodied valorizations that support a whole “project of life” (Fontanille 1993, 2015), sanctity can undoubtedly be considered as a particular form of life typified by a specific combination of narrative structures (the tension towards the transcendence of human limits and the role of death in determining the Sanction) and semantic categories (extraordinariness and self-sacrifice).
    The codification of these characterizing features is so accurate, efficacious, and pervasive in Western culture that the model of sanctity has been expanded beyond its original religious semiosphere (Guerriero 2003; Hopgood 2005), thus becoming a “Ur-form of life”, namely an archetype that generates other models based upon its principles (Jones 2017; Hendrickson 1998). Accordingly, figures such as Che Guevara or James Dean, as well as musicians such as Elvis Presley (“the other Jesus”) or Claude François are the object of proper “popular cults” (Browne 1980; Boudewijnse and Heimbrock 1990), to the extent that scholars define them as “cultural saints” (Laderman and Leon 2003: 447-448). The modelisation of such “cultural sanctity” is quite far from the “everyday” ideal of sanctity promoted by the 20th-century Catholic doctrine, especially after the Second Vatican Council, and rather results closer to the popular and stereotyped figure of the hero-saint, which derives from early modernity (Royo Mejía 1995; Fumagalli Beonio Brocchieri and Guidorizzi 2012).
    In order to point out, firstly, the “de-generation” of the narrative program and semantic categories of sanctity (i.e. their elaboration in contexts and textual genres different from the original ones) and, secondly, the conscious embodiment and staging of this form of life by individual subjects (Salvatore 2015; Spaziante 2016), we focus on the case study of the discourse surrounding popular music. Indeed, especially after the 20th-century avant-gardes, which were often defined as “ascetic” (Riley 1998), at least since Edgar Morin (1957), the analogy between saints and stars is a consumed trope within pop culture (Schmitt 1983).
    For musicians, just like for Catholic saints, the unavoidable viaticum to sanctity is represented by death, generally tragic and premature (Yarrow 2016: 145-146). The event of death legitimizes the (retrospective) interpretation of their whole life through hagiographic narrative structures and semantic categories, such as the heroism determined by their exceptional talent, the perseverance in living and promoting a peculiar lifestyle, and “the authenticity of believing so much in their music that they effectively died for it” (Till 2010: 119).
    This kind of discourse shapes in turn a life model that is consciously taken in charge and pursued by Subjects. The most notable case is that of jazz master John Coltrane (1926-1967), who, after his conversion to a universalistic, mystical God, and to the once-despised language of free jazz, explicitly manifests the intention to reach sanctity in and through his music (Pedrazzi 2008; Whyton 2013). The embodiment and staging of sanctity by Coltrane received a positive Sanction after his death, both with the institution of the St. John William Coltrane African Orthodox Church (Baham 2015; Howison 2012) and the recurring interpretation of his late music (1964-1967: A Love Supreme, Ascension, Meditations, Expression) as a miraculous act and, just like the miraculous and virtuous acts of the canonized saints, a testimony inviting to imitation.
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    [ITALIANO]
    La forma di vita della santità in musica oltre l’agiografia: il caso di John Coltrane e della sua “ascensione”
    Intervistatore: “Ma quindi lei vorrebbe diventare santo?”
    John Coltrane: “Certamente” (in De Vito 2010, pp. 269-270)
    Se una “forma di vita” è definita come una “valorizzazione incarnata” che supporta un intero “progetto di vita” (Fontanille 1993, 2015), la santità può essere senza dubbio considerata come una particolare forma di vita caratterizzata da una specifica combinazione di strutture narrative (la tensione verso la trascendenza dei limiti umani e il ruolo della morte nella determinazione della Sanzione) e categorie semantiche (straordinarietà e sacrificio di sé).
    La codificazione di queste caratteristiche è così accurata, efficace e pervasiva nella cultura occidentale che il modello della santità ha travalicato l’originaria semiosfera religiosa (Guerriero 2003; Hopgood 2005), diventando così una sorta di “Ur-forma di vita”, vale a dire un archetipo che genera a sua volta altri modelli basati sui medesimi princìpi (Jones 2017; Hendrickson 1998). Personaggi iconici come Che Guevara o James Dean, come Elvis Presley (“l’altro Gesù”) o Claude François sono oggetto di veri e propri “culti popolari” (Browne 1980; Boudewijnse e Heimbrock 1990), tanto che alcuni studiosi definiscono figure di questo tipo “santi culturali” (Laderman e Leon 2003: 447-448). La modellizzazione di tale santità culturale appare però piuttosto lontana dall’ideale “quotidiano” di santità promosso dalla dottrina cattolica del XX secolo, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, e risulta, invece, assai più affine all’ideale popolare e stereotipato del santo-eroe tradizionale (Royo Mejía 1995; Fumagalli Beonio Brocchieri e Guidorizzi 2012).
    Al fine di sottolineare, in primo luogo, la “de-generazione” del programma narrativo e delle categorie semantiche della santità (ossia, la loro elaborazione in contesti e generi testuali diversi da quelli originali) e, in secondo luogo, l’incarnazione e la messa in pratica cosciente e programmatica di questa forma di vita da parte di singoli soggetti (Salvatore 2015; Spaziante 2016), ci si concentrerà sul caso della musica extracolta. Specialmente dopo l’epoca d’oro delle avanguardie del XX secolo, spesso definite “ascetiche” (Riley 1998), almeno a partire da Edgar Morin (1957), l’analogia tra santi e stelle della musica rappresenta un tropo comune, quando non abusato, all’interno della cultura pop (Schmitt 1983).
    Per i musicisti, proprio come per i santi cattolici, l’inevitabile viatico alla santità è rappresentato dalla morte, generalmente tragica e prematura (Yarrow 2016: 145-146). Le modalità di questo evento, per definizione di natura terminativa, legittimano l’interpretazione (retrospettiva) di tutta la vita alla luce di strutture narrative e categorie semantiche agiografiche: l’eroismo determinato da qualità eccezionali, come il talento; la perseveranza nel vivere e promuovere uno stile di vita peculiare, spesso giudicato disforicamente dalla comunità di riferimento; in definitiva, “l’autenticità di credere così intensamente nella musica da essere effettivamente morti per essa” (Till 2010: 119).
    Questi discorsi che istituiscono un parallelo tra santo e musicista producono a loro volta un modello di vita, che viene preso consapevolmente in carico e coerentemente perseguito dai singoli. Il caso più notevole, in tal senso, è quello del grande jazzista John Coltrane (1926-1967), il quale, dopo la doppia conversione a un dio mistico universalistico e al linguaggio - un tempo disprezzato - del free jazz, manifesta esplicitamente l’intenzione di raggiungere la santità attraverso la musica (Pedrazzi 2008; Whyton 2013). L’incarnazione e la messa in pratica della santità da parte di Coltrane ha ricevuto una doppia sanzione positiva dopo la morte, con l’istituzione della Chiesa Ortodossa Africana di San John William Coltrane (Baham 2015; Howison 2012) e l’interpretazione ricorrente della sua musica più tarda (1964-1967: A Love Supreme, Ascension, Meditations, Expression) come “atto miracoloso” e, proprio come accade con gli atti virtuosi e miracolosi dei santi canonizzati, testimonianza che invita all’imitazione.