Maria Valtorta - Evangelo cap. 21: L’arrivo di Maria a Ebron e il suo incontro con Elisabetta.
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- Опубліковано 2 січ 2025
- Maria Valtorta - Evangelo cap. 21: L’arrivo di Maria a Ebron e il suo incontro con Elisabetta.
1 aprile 1944.
Sono in un luogo montagnoso. Non sono grandi monti ma neppur più colline. Hanno già gioghi e insenature da vere montagne, quali se ne vedono sul nostro Appennino tosco-umbro. La vegetazione è folta e bella e vi è abbondanza di fresche acque, che mantengono verdi i pascoli e ubertosi i frutteti, che sono quasi tutti coltivati a meli, fichi e uva: intorno alle case questa. La stagione deve essere di primavera, perché i grappoli sono già grossetti, come chicchi di veccia, e i meli hanno già legati i fiori che ora paiono tante palline verdi verdi, e in cima ai rami dei fichi stanno i primi frutti ancora embrionali, ma già ben formati. I prati, poi, sono un vero tappeto soffice e dai mille colori. Su essi brucano le pecore, o riposano, macchie bianche sullo smeraldo dell’erba.
Maria sale, sul suo ciuchino, per una strada abbastanza in buono stato, che deve essere la via maestra. Sale, perché il paese, dall’aspetto abbastanza ordinato, è più in alto. Il mio interno ammonitore mi dice: «Questo luogo è Ebron». Lei mi parlava di Montana. Ma io non so cosa farci. A me viene indicato con questo nome. Non so se sia «Ebron» tutta la zona o «Ebron» il paese. Io sento così e dico così.
Ecco che Maria entra nel paese. Delle donne sulle porte - è verso sera - osservano l’arrivo della forestiera e spettegolano fra di loro. La seguono con l’occhio e non hanno pace sinché non la vedono fermarsi davanti ad una delle più belle case, sita in mezzo del paese, con davanti un orto-giardino e dietro e intorno un ben tenuto frutteto, che poi prosegue in un vasto prato, che sale e scende per le sinuosità del monte e finisce in un bosco di alte piante, oltre il quale non so che ci sia. Tutto è recinto da una siepe di more selvatiche o di rose selvatiche. Non distinguo bene, perché, se lei ha presente, il fiore e la fronda di questi spinosi cespugli sono molto simili e, finché non c’è il frutto sui rami, è facile sbagliarsi. Sul davanti della casa, sul lato perciò che costeggia il paese, il luogo è cinto da un muretto bianco, su cui corrono dei rami di veri rosai, per ora senza fiori ma già pieni di bocci. Al centro, un cancello di ferro, chiuso. Si capisce che è la casa di un notabile del paese e di persone benestanti, perché tutto in essa mostra, se non ricchezza e sfarzo, agiatezza certo. E molto ordine.
Maria scende dal ciuchino e si accosta al cancello. Guarda fra le sbarre. Non vede nessuno. Allora cerca di farsi sentire. Una donnetta, che più curiosa di tutte l’ha seguita, le indica un bizzarro utensile che fa da campanello. Sono due pezzi di metallo messi a bilico di una specie di giogo, i quali, scuotendo il giogo con una fune, battono fra di loro col suono di una campana o di un gong.
Maria tira, ma così gentilmente che il suono è un lieve tintinnio, e nessuno lo sente. Allora la donnetta, una vecchietta tutta naso e bazza e con una lingua che ne vale dieci messe insieme, si afferra alla fune e tira, tira, tira. Una suonata da far destare un morto. «Si fa così, donna. Altrimenti come fate a farvi sentire? Sapete, Elisabetta è vecchia e vecchio Zaccaria. Ora poi è anche muto, oltre che sordo. Vecchi sono anche i due servi, sapete? Siete mai venuta? Conoscete Zaccaria? Siete…».
A salvare Maria dal diluvio di notizie e di domande, spunta un vecchietto arrancante, che deve essere un giardiniere o un agricoltore, perché ha in mano un sarchiello e legata alla vita una roncola. Apre, e Maria entra ringraziando la donnetta, ma… ahi! lasciandola senza risposta. Che delusione per la curiosa!
Appena dentro, Maria dice: «Sono Maria di Giovacchino e Anna, di Nazareth. Cugina dei padroni vostri».
Il vecchietto si inchina e saluta, e poi dà una voce chiamando: «Sara! Sara!». E riapre il cancello per prendere il ciuchino rimasto fuori, perché Maria, per liberarsi dalla appiccicosa donnetta, è sgusciata dentro svelta svelta, e il giardiniere, svelto quanto Lei, ha chiuso il cancello sul naso della comare. E, intanto che fa passare il ciuco, dice: «Ah! gran felicità e gran disgrazia a questa casa! Il Cielo ha concesso un figlio alla sterile, l’Altissimo ne sia benedetto! Ma Zaccaria è tornato, sette mesi or sono, da Gerusalemme, muto. Si fa intendere a cenni o scrivendo. L’avete forse saputo? La padrona mia vi ha tanto desiderata in questa gioia e in questo dolore! Sempre parlava con Sara di voi e diceva: “Avessi la mia piccola Maria con me! Fosse ancora stata nel Tempio! Avrei mandato Zaccaria a prenderla. Ma ora il Signore l’ha voluta sposa a Giuseppe di Nazareth. Solo Lei poteva darmi conforto in questo dolore e aiuto a pregare Dio, perché Ella è tutta buona. E nel Tempio tutti la rimpiangono. La passata festa, quando andai con Zaccaria per l’ultima volta a Gerusalemme a ringraziare Iddio d’avermi dato un figlio, ho sentito le sue maestre dirmi: .......