19-Le statut de la communauté dans le De gradibus (Gay 7-11am)

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  • Опубліковано 19 гру 2024
  • Come Bernardo fa notare al suo lettore alla fine del De gradibus, mentre i primi due gradi
    dell’umiltà possono essere scalati fuori dal monastero, sembra più difficile, se non
    impossibile, continuare questa ascesa senza diventare monaco (Hum XIX, 49).
    Entrando in un monastero cistercense, il novizio si unisce innanzitutto a un abate, il cui ruolo
    nella formazione dell’umiltà è fondamentale: è attraverso l’obbedienza che il monaco impara
    a lasciare andare la propria volontà, e questa obbedienza la deve innanzitutto all’abate. Ma
    entra anche a far parte di una comunità di cui si può sottolineare la diversità sociologica, con
    l’integrazione dei conversi nel monastero, un’innovazione del XII secolo. La diversità dei
    membri della comunità, benché lungi dall’essere egualitaria, incoraggiava l’umiltà dei
    monaci: essi lavoravano fianco a fianco con i fratelli laici, che potevano addirittura essere
    visti come modelli di umiltà per tutti.
    Al di là di questi aspetti sociali e organizzativi, il presente lavoro si propone di comprendere il
    ruolo positivo ed essenziale della comunità in quanto tale nella formazione dell’umiltà.
    L’importanza della comunità nel De gradibus è stata notata da Carolyn Bynum1. L’autrice
    sottolinea che la discesa, nella seconda parte del trattato, dai gradi dell’umiltà a quelli
    dell’orgoglio avviene in una “cornice comunitaria”. Le descrizioni, in questa seconda parte, di
    ogni grado di “superbia” sono infatti come tanti “schizzi” che i frati utilizzeranno per
    identificare coloro che tra loro stanno scendendo la scala dell’umiltà invece di salirla. Questo
    ci riporta alla “comunità formativa” descritta da Jean Leclercq nel 1979 , che ha evidenziato i
    ruoli complementari dell’abate e della comunità nella formazione dei monaci. Costantemente
    valutato dai suoi confratelli, il monaco “si svaluta ai suoi stessi occhi attraverso una
    conoscenza molto vera di se stesso (Hum I, 2)”, e così progredisce verso l’umiltà. Dobbiamo
    anche notare il ruolo ambiguo della lode dei fratelli, che può sia incoraggiare alcuni nelle loro
    mancanze sia mettere alla prova l’umiltà dei più umili.
    La comunità riunisce quindi elementi imperfetti, incapaci di contribuire alla salvezza propria
    o altrui. Eppure li unisce per offrire un “rifugio di salvezza” a tutti. Al contrario, chi si ribella
    alla comunità si avvicina alla morte spirituale. Gli ultimi paragrafi del trattato (52-56), che
    trattano dell’utilità della preghiera per coloro che sono stati espulsi dal monastero o stanno per
    esserlo, si preoccupano di mostrare la gravità della loro situazione, arrivando a paragonarli a coloro che sono stati scomunicati. Sebbene sia ancora possibile pregare per questi fratelli, non
    lo si può fare ad alta voce e i risultati sarebbero miracolosi. Bernardo insiste quindi sul
    “pericolo” (periculum) e sul disastro della scomunica per incoraggiare i monaci a essere
    spiritualmente vigili. I “ritratti composti” della seconda parte diventano altrettanti “specchi”
    messi a disposizione dei monaci perché possano riconoscersi meglio e, paradossalmente, non
    appena valutato il loro grado di orgoglio, rafforzare la loro umiltà.
    Pressione oggettiva, attraverso il controllo dei fratelli, pressione soggettiva, attraverso la
    paura di non appartenere più alla comunità, qual è la forza ultima della comunità? Uno
    sguardo più attento agli ultimi paragrafi (52-56) dedicati alla preghiera rivelerà la struttura
    della “cordata” che Christian Trottmann aveva individuato in alcune prediche di Bernardo. La
    comunità apparirà allora come un “crogiolo di grazia”, una grazia che solo è in grado di
    rendere il monaco consapevole della realtà della sua situazione e della necessità di fare
    ammenda.

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