Un peschereccio nello stretto di Messina

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  • Опубліковано 7 жов 2024
  • “Da una parte ci sono rupi aggettanti, contro cui si frange
    con grande fragore l’onda di Anfitrite dagli occhi scuri:
    gli dèi beati le chiamano Le erranti.
    Di lì non passano neppure gli uccelli, né le trepidanti
    colombe, quelle che a Zeus padre portano ambrosia.
    Sempre qualcuna ne toglie la roccia liscia,
    e il padre un’altra ne manda che ristabilisca il numero.
    Di lì mai sfuggì nave di uomini che vi fosse giunta,
    ma tavole di navi e insieme corpi di uomini trascinano via
    le ondate del mare e i vortici di fuoco funesto.
    Una sola nave di lungo corso di lì è riuscita a passare,
    Argo da tutti celebrata, che tornava dal paese di Aieta”.
    Lì dentro abita Scilla dal latrato inquietante:
    la sua voce è pari a quella di una cagnetta poppante,
    ma essa è invece un mostro malvagio, e nessuno
    a vedersela di fronte gioirebbe, nemmeno un dio.
    Dodici sono i suoi piedi, e tutti malformati,
    ha sei colli lunghissimi, e ciascuno ha una orrida
    testa, e in ognuna ci sono tre file di denti,
    moltissimi e fitti, pieni del nero della morte.
    Per metà sta sprofondata nell’antro profondo,
    ma dal terribile baratro tiene fuori le teste.
    Qui pesca, frugando lo scoglio all’intorno,
    delfini, pescicani e mostri più grandi, se càpita,
    afferra, quanti innumerevoli nutre la mugghiante Anfitrite.
    Di lì con la nave nessuno si vanta di esser fuggito
    indenne da morte; con ogni singola testa un uomo si prende: lo afferra da sopra le navi dalla prora scura.

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