Buongiorno Mauro, a proposito della lezione Arendt 6 sulla misteriosa facoltà del giudizio di gusto, vorrei fare alcune considerazioni anche per il mio interesse per l'arte ed in particolare per la pittura. Se ho ben capito la Arendt sostiene che il giudizio di gusto non potendosi esprimere che in un contesto relazionale è per ciò stesso comunicabile; quindi la sua comunicabilità ne ridurrebbe o annullerebber la soggettività. diventando perciò condivisibile, universale? Il giudizio di gusto, sempre secondo la Arendt, parrebbe un nonsenso se non avesse un "uditorio", addirittura non avrebbe alcun significato nemmeno per colui che lo ha "formulato". In particolare quest'ultima affermazione mi sembrata piuttosto estrema, si potrebbe obbiettare che molte decisioni basate su giudizi estetici le prendiamo in completa autonomia senza il bisogno di alcuno che ci dia il suo placet. Tuttavia la relazionalità implica le peculiarità individuali: la psicologia, la sensibilità, la cultura, il contesto storico, di chi esprime un giudizio e di chi lo ascolta, perciò difficilmente i giudizi di gusto quand'anche condivisi possono coincidere, forse parzialmente ma non completamente e tantomeno oggettivamente. Inoltre, come riferito in una citazione della Arendt, affermare che è sempre un giudizio di gusto dire che una azione è sbagliata oppure giusta, mi sembra complichi molto la comprensione tra ciò che è moralmente conforme e ciò che invece diletta. L'aggettivo "bello" spesso viene usato nel linguaggio informale al posto di "buono" o addirittura di "brutto" per accentuare l'intensità di un gesto o di un evento. A mio modo di vedere quando si dice che una azione è bella si afferisce comunque alla sfera morale, la differenza è soltanto verbale. Sempre riguardo alla comunicabilità del giudizio di gusto, possiamo rilevare che nelle opere d'arte senza il condizionamento mediatico: la leonardesca Gioconda, i lavori di Jackson Pollock o di Andy Warhol e via dicendo, (a prescindere dal valore storico delle loro opere) difficilmente sarebbero osannati da folle di visitatori. In questo caso si ha il dubbio che il giudizio di gusto non venga espresso ma "impresso" impartito. Forse i critici d'arte, i galleristi, gli specialisti del settore, potrebbero fornire un giudizio estetico "qualificato", ma qui il discorso si complica notevolmente (vedasi il caso delle teste di Modigliani recuperate nei canali di Livorno). L' essenza dell'arte è sempre stato un problema che mi sono posto, e mi sono domandato: "quando l'artista riesce nella sua opera ad esprimere i propri sentimenti, la sua visione della realtà, il suo mondo interiore ( e questo lo sa soltanto lui!) certamente è soddisfatto del proprio lavoro perché ha raggiunto lo scopo, cioè ha prodotto un'opera d'arte anche senza la validazione della critica?" Ma allora il valore della sua opera viene prima o dopo la validazione mediatica o forse è indipendente da essa?" Probabilmente viene prima proprio in quanto soggettivo. Le pitture, le sculture, ecc. fino a qualche secolo fa, potevano essere soggette ad un giudizio in base alla loro rispondenza alla realtà, cioè era un giudizio basato su un dato oggettivo e perciò comunicabile, universale. Ma da quando l'artista ha creato la sua opera in base alla sua immaginazione, allora il suo lavoro non può che essere soggettivo, il giudizio si può esprimere soltanto con l'espressione: mi piace! E questo "mi piace" lo potrà dire forse un numero anche grande di individui, ma non avrà mai valore universale. Mi scuso per la lunghezza del mio commento, ma questi argomenti sono spesso oggetto della mia riflessione, senza però essere approdato a ad una visione sufficientemente chiara della questione. Complimenti e rinnovo il mio grazie per la tua encomiabile attività divulgativa. Stammi bene
Buongiorno (seppur un po' tardivo) Rossano. Grazie dell'apprezzamento e soprattutto del ricco contributo critico, che mi ha suscitato queste considerazioni: 1) io ho capito che per A. anche se giudichiamo "da soli" nella nostra individualità è insita una connessione con i gusti/giudizi altrui, ossia teniamo sempre conto di come potrebbero gustare e giudicare gli altri ciò che noi stiamo gustando e giudicando in solitudine (-->razionalità trascendentale kantiana). 2) il giudizio di gusto che si riferisce alle azioni è distinto da quello morale: per A. l'azione coraggiosa di Enrico Toti ci risulta bella ed esteticamente giusta (si riferisce alla nostra naturalità di specie umana) mentre dal punto di vista morale è negativa in quanto la guerra è immorale. 3) La validazione mediatica su chi/cosa si basa? Perché sceglie di promuovere Leonardo piuttosto che Mario Rossi? 4) Non credo che il valore dell'arte si misuri con il metro della sua corrispondenza alla realtà, anche le opere più apparentemente realistiche ci risultano belle proprio perché non riproducono la realtà ma la trasfigurano, benché anche in modo dissimulato. Credo piuttosto che la bellezza artistica nasca da una mediazione, a diversi gradi e in differenti forme, tra le rappresentazioni del nostro io cosciente e quelle dei simboli del nostro inconscio. 5) A mio inattendibile giudizio, Andy Warhol non è un grande artista, come Leonardo o Pollock, proprio perché più "realistico" di loro.
Buongiorno Mauro, a proposito della lezione Arendt 6 sulla misteriosa facoltà del giudizio di gusto, vorrei fare alcune considerazioni anche per il mio interesse per l'arte ed in particolare per la pittura.
Se ho ben capito la Arendt sostiene che il giudizio di gusto non potendosi esprimere che in un contesto relazionale è per ciò stesso comunicabile; quindi la sua comunicabilità ne ridurrebbe o annullerebber la soggettività. diventando perciò condivisibile, universale?
Il giudizio di gusto, sempre secondo la Arendt, parrebbe un nonsenso se non avesse un "uditorio", addirittura non avrebbe alcun significato nemmeno per colui che lo ha "formulato".
In particolare quest'ultima affermazione mi sembrata piuttosto estrema, si potrebbe obbiettare che molte decisioni basate su giudizi estetici le prendiamo in completa autonomia senza il bisogno di alcuno che ci dia il suo placet.
Tuttavia la relazionalità implica le peculiarità individuali: la psicologia, la sensibilità, la cultura, il contesto storico, di chi esprime un giudizio e di chi lo ascolta, perciò difficilmente i giudizi di gusto quand'anche condivisi possono coincidere, forse parzialmente ma non completamente e tantomeno oggettivamente.
Inoltre, come riferito in una citazione della Arendt, affermare che è sempre un giudizio di gusto dire che una azione è sbagliata oppure giusta, mi sembra complichi molto la comprensione tra ciò che è moralmente conforme e ciò che invece diletta.
L'aggettivo "bello" spesso viene usato nel linguaggio informale al posto di "buono" o addirittura di "brutto" per accentuare l'intensità di un gesto o di un evento. A mio modo di vedere quando si dice che una azione è bella si afferisce comunque alla sfera morale, la differenza è soltanto verbale.
Sempre riguardo alla comunicabilità del giudizio di gusto, possiamo rilevare che nelle opere d'arte senza il condizionamento mediatico: la leonardesca Gioconda, i lavori di Jackson Pollock o di Andy Warhol e via dicendo, (a prescindere dal valore storico delle loro opere) difficilmente sarebbero osannati da folle di visitatori.
In questo caso si ha il dubbio che il giudizio di gusto non venga espresso ma "impresso" impartito. Forse i critici d'arte, i galleristi, gli specialisti del settore, potrebbero fornire un giudizio estetico "qualificato", ma qui il discorso si complica notevolmente (vedasi il caso delle teste di Modigliani recuperate nei canali di Livorno).
L' essenza dell'arte è sempre stato un problema che mi sono posto, e mi sono domandato: "quando l'artista riesce nella sua opera ad esprimere i propri sentimenti, la sua visione della realtà, il suo mondo interiore ( e questo lo sa soltanto lui!) certamente è soddisfatto del proprio lavoro perché ha raggiunto lo scopo, cioè ha prodotto un'opera d'arte anche senza la validazione della critica?" Ma allora il valore della sua opera viene prima o dopo la validazione mediatica o forse è indipendente da essa?" Probabilmente viene prima proprio in quanto soggettivo.
Le pitture, le sculture, ecc. fino a qualche secolo fa, potevano essere soggette ad un giudizio in base alla loro rispondenza alla realtà, cioè era un giudizio basato su un dato oggettivo e perciò comunicabile, universale.
Ma da quando l'artista ha creato la sua opera in base alla sua immaginazione, allora il suo lavoro non può che essere soggettivo, il giudizio si può esprimere soltanto con l'espressione: mi piace!
E questo "mi piace" lo potrà dire forse un numero anche grande di individui, ma non avrà mai valore universale.
Mi scuso per la lunghezza del mio commento, ma questi argomenti sono spesso oggetto della mia riflessione, senza però essere approdato a ad una visione sufficientemente chiara della questione.
Complimenti e rinnovo il mio grazie per la tua encomiabile attività divulgativa.
Stammi bene
Buongiorno (seppur un po' tardivo) Rossano. Grazie dell'apprezzamento e soprattutto del ricco contributo critico, che mi ha suscitato queste considerazioni: 1) io ho capito che per A. anche se giudichiamo "da soli" nella nostra individualità è insita una connessione con i gusti/giudizi altrui, ossia teniamo sempre conto di come potrebbero gustare e giudicare gli altri ciò che noi stiamo gustando e giudicando in solitudine (-->razionalità trascendentale kantiana). 2) il giudizio di gusto che si riferisce alle azioni è distinto da quello morale: per A. l'azione coraggiosa di Enrico Toti ci risulta bella ed esteticamente giusta (si riferisce alla nostra naturalità di specie umana) mentre dal punto di vista morale è negativa in quanto la guerra è immorale. 3) La validazione mediatica su chi/cosa si basa? Perché sceglie di promuovere Leonardo piuttosto che Mario Rossi? 4) Non credo che il valore dell'arte si misuri con il metro della sua corrispondenza alla realtà, anche le opere più apparentemente realistiche ci risultano belle proprio perché non riproducono la realtà ma la trasfigurano, benché anche in modo dissimulato. Credo piuttosto che la bellezza artistica nasca da una mediazione, a diversi gradi e in differenti forme, tra le rappresentazioni del nostro io cosciente e quelle dei simboli del nostro inconscio. 5) A mio inattendibile giudizio, Andy Warhol non è un grande artista, come Leonardo o Pollock, proprio perché più "realistico" di loro.