Maria Valtorta - Evangelo cap. 543: Marta manda un servo a chiamare il Maestro.

Поділитися
Вставка
  • Опубліковано 29 гру 2024
  • Maria Valtorta - Evangelo cap. 543: Marta manda un servo a chiamare il Maestro.
    20 dicembre 1946.
    Mi trovo ancora nella casa di Lazzaro e vedo che Marta e Maria escono nel giardino accompagnando un uomo piuttosto anziano, molto dignitoso nell’aspetto e direi non ebreo, perché ha il volto completamente rasato come lo hanno i romani.
    Allontanate che sono un poco dalla casa, Maria gli chiede: «Ebbene, Nicomede? Che ci dici di nostro fratello? Noi lo vediamo molto… malato… Parla».
    L’uomo apre le braccia con un gesto di commiserazione e di costatazione dell’ineluttabilità del fatto, e dice fermandosi: «È molto malato… Io non vi ho mai ingannate sin dai primi tempi che l’ho preso in cura. Ho tentato di tutto, voi lo sapete. Ma non è servito. Ho anche… sperato, sì, ho sperato che almeno potesse vivere reagendo all’estenuazione della malattia con il buon nutrimento e i cordiali che gli preparavo. Ho tentato anche con veleni atti a preservare il sangue dalla corruzione e a sostenere le forze, secondo le vecchie scuole dei grandi maestri della medicina. Ma il male è più forte dei mezzi per curare il male. Sono come corrosioni queste malattie. Distruggono. E quando appaiono all’esterno, l’interno delle ossa ne è già invaso, e come la linfa in un albero dall’imo si alza alla vetta così qui dal piede la malattia si è estesa a tutto il corpo…».
    «Ma ha le gambe malate, quelle sole…», geme Marta.
    «Sì. Ma la febbre distrugge là dove voi non pensate esservi che sanità. Guardate questo ramicello caduto da quell’albero. Pare tarlato qua, presso la frattura. Ma, ecco… (lo sbriciola fra le dita). Vedete? Sotto la scorza ancor liscia è la carie sino in cima, dove ancora sembra esservi vita perché vi sono ancora delle foglioline. Lazzaro ormai è… morente, povere sorelle! Il Dio dei vostri padri, e gli dèi e semidèi della nostra medicina, nulla hanno potuto fare… o voluto fare. Parlo del vostro Dio… E perciò… sì, prevedo ormai prossima la morte anche per l’aumento della febbre, sintomo della corruzione entrata nel sangue, per i moti disordinati del cuore, e per la mancanza di stimoli e reazioni nel malato e in tutti i suoi organi. Voi vedete! Non si nutre più, non ritiene il poco che prende e non assimila ciò che ritiene. È la fine… E - credete ad un medico che è riconoscente a voi ricordando Teofilo - e la cosa più da desiderarsi ormai è la morte… Sono mali tremendi. Da migliaia di anni distruggono l’uomo, e l’uomo non riesce a distruggere loro. Soltanto gli dèi potrebbero se…».
    Si arresta, le guarda sfregandosi con le dita il mento rasato. Pensa. Poi dice: «Perché non chiamate il Galileo? È vostro amico. Egli può perché tutto Egli può. Io ho controllato persone che erano condannate e che sono guarite. Una forza strana esce da Lui. Un fluido misterioso che rianima e raduna le disperse reazioni e impone loro di voler guarire… Non so. So che l’ho seguito anche, stando mescolato nella folla, e ho visto cose meravigliose… Chiamatelo. Io sono un gentile. Ma onoro il Taumaturgo misterioso del vostro popolo. E sarei felice se Egli potesse ciò che io non ho potuto».
    «Egli è Dio, Nicomede. Perciò può. La forza che tu chiami fluido è il suo volere di Dio», dice Maria.
    «Non derido la vostra fede. Anzi la sprono a crescere sino all’impossibile. Del resto… Si legge che gli dèi sono scesi sulla Terra qualche volta. Io… non ci avevo creduto mai… Ma, con scienza e coscienza di uomo e di medico, devo dire che così è, perché il Galileo opera guarigioni che solo un dio può operare».
    «Non un dio, Nicomede. Il vero Dio», insiste Maria.
    «E va bene. Come tu vuoi. E io lo crederò e diventerò suo seguace se vedrò che Lazzaro… risorge. Perché ormai, più che di guarigione, di risurrezione è d’uopo parlare. Chiamatelo, dunque, e con urgenza… perché, se stolto non sono divenuto, al massimo entro il terzo tramonto da questo egli morrà. Ho detto “al massimo”. Potrebbe essere anche prima, ormai».
    «Oh! potessimo! Ma non sappiamo dove sia…», dice Marta.
    «Io lo so. Me lo ha detto un suo discepolo che andava a raggiungerlo accompagnandogli dei malati, e due erano dei miei. È oltre il Giordano, presso il guado. Così ha detto. Voi forse sapete meglio il luogo».
    «Ah! in casa di Salomon, certo!», dice Maria.
    «Lontano molto?».
    «No, Nicomede».
    «E allora mandate subito un servo a dirgli che venga. Io più tardi ritorno e resto qui per vedere la sua azione su Lazzaro. Salve, domine. E… fatevi cuore a vicenda». Le inchina e se ne va verso l’uscita, là dove un servo lo attende per tenergli il cavallo e aprirgli il cancello.
    «Che facciamo, Maria?», chiede Marta dopo aver visto partire il medico.
    «Ubbidiamo al Maestro. Egli ha detto di mandarlo a chiamare dopo la morte di Lazzaro. E noi lo faremo».
    «Ma, morto che sia…, che giova avere più qui il Maestro? Per il nostro cuore sì, sarà utile. Ma per Lazzaro!… Io mando un servo a chiamarlo».
    «No. Tu distruggeresti il miracolo. Egli ha detto di saper sperare e credere contro ogni realtà contraria....

КОМЕНТАРІ •