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  • Опубліковано 21 жов 2024

КОМЕНТАРІ • 6

  • @mauromontesano7155
    @mauromontesano7155 2 дні тому

    Ora voglio una maglietta con scritto sopra "domina dolore"

  • @ilianceroni
    @ilianceroni 2 дні тому

    1:19:11 in chat la spiegazione sui simboli nei nomi era corretta ma un po’ confusa, in parte per le limitazioni di scrivere un messaggio in chat live, ma in parte perché a scuola quando ci insegnano a leggere vengono commessi alcuni errori o imprecisioni che portano a renderci più difficile approcciare altre lingue ed i loro sistemi di scrittura. Quindi da laureato in linguistica generale in un’università francofona ed avendo alle spalle un percorso di greco e latino, penso di poter svelare l’arcano della pronuncia dei vari simboli😂
    Partiamo dai simboli sul nome del pg di Simo che son stati spiegati correttamente. Si tratta infatti delle lunghezze e sono presenti anche in latino, in effetti il nome stesso del personaggio è un termine latino (legato pure alla sua abilità), quindi penso che Simo lo abbia effettivamente “scritto in latino”. La linea orizzontale sopra la vocale (come in “ā”) indica che questa è lunga. A tutti gli effetti è un doppia (non credo serva approfondire, è come se ci fosse scritto “imaago”). Invece l’altro simbolo (come in “ǐ”), indica una vocale breve, quindi che si pronuncia per leggermente meno tempo di una vocale normale (i giocatori lo pronunciano correttamente, spesso sembrano dire “mago” anziché “imago”, proprio perché breve). Da notare che in latino si usano questi simboli diacritici, ma in altre lingue sono considerate lettere diverse, come il greco antico. Infatti le due coppie omicron-omega (ο-ω) e epsilon-eta (ε-η) si traslitterano in latino rispettivamente come o-ō e e-ē. Questi erano stati spiegati correttamente dalla chat, ma si è creata un po’ di confusione con il nome “Anaïs”, scritto alla francese (ma sarebbe scritto così anche in latino) ed il modo di interpretare il simbolo in questione.
    Questo perché i due puntini hanno due significati diversi a seconda della lingua, per cui spesso ci si confonde, non usandoli nell’italiano moderno (discorso diverso sull’italiano medievale di Dante & co., ma poi ci rovina la narrazione che “parliamo esattamente lo stesso italiano di Dante” e la crusca ci rimane male). Nelle lingue neolatine sono dieresi, mentre in nelle lingue germaniche sono delle umlaut, si tratta di due simboli diversi che “si scrivono” allo stesso modo, ma vanno intesi come cose diverse. Le umlaut “bersagliano” la lettera su cui si trovano, mentre le dieresi influenzano la sillaba.
    Per esempio in tedesco “ö” serve per indicare che è pronunciato diversamente da “o” (nell’alfabeto fonetico si scrivono rispettivamente /ø/ e /o/). Di fatto è come scrivere un’altra lettera, ma non avendola a disposizione nell’alfabeto usato, si aggiunge un simbolo per far capire che è diversa. Solitamente quando vedete simboli insoliti su una lettera, il pensiero è che abbia un effetto simile, come “å” in svedese, che anche utilizza gli umlaut con “ä” e “ö” (il norvegese invece usa direttamente “ø”).
    Le dieresi, invece, indicano che la vocale non forma un dittongo con la precedente e che quindi fa iato (termini che a livello di italiano tendiamo ad usare solo quando si studiano le tre corone, e magari non li si incontra nemmeno in quel contesto). Questo significa che sono due sillabe (iato) anziché formarne una sola (dittongo). Il francese è l’esempio perfetto, infatti ha diversi dittonghi molto comuni, tra cui “ai” che si legge /ɛ/ (come in italiano “è”). Con le dieresi le due vocali vanno separate e quindi sono pronunciate /ai/, sono due sillabe distinte, non una singola vocale. Il nome “Anaïs” è infatti pronunciato /an’ais/ e non /an’ɛs/ (l’apostrofo indica l’accento tonico, nella versione scritta della pronuncia in italiano sono rispettivamente “a-nà-is” e “a-nès”). Anche il termine “naïf/naïve” in francese viene scritto con le dieresi per lo stesso motivo, indica che “a” e “i” vanno lette separatamente.
    Grossomodo queste sono le informazioni necessarie, si scrive con le dieresi perché venga letto correttamente in francese, non perché la “i” sia pronunciata diversamente come con le umlaut. Il meccanismo potrebbe sembrarvi poco chiaro, ma in realtà non per colpa del francese, che sul fronte della consistenza grafia/pronuncia è molto funzionale, ma bensì per colpa dell’italiano. Infatti da qui in avanti proverò a riassumere il problema a livello di come scriviamo le pronunce in italiano, ma temo che non sarà chiaro, perché ci sono dei preconcetti che vengono insegnati alle elementari, specifici dell’italiano, che portano chi lo parla a faticare a capire altre lingue, visto che il modo di descrivere la pronuncia in italiano implica le regole dell’italiano, che appena vengono a mancare, lasciano spaesati. Se vi basta la spiegazione generica, vi invito a NON continuare a leggere, perché quanto segue potrebbe essere un po’ pesante e lungo😅

    • @ilianceroni
      @ilianceroni 2 дні тому

      In pratica alle elementari quando impariamo a leggere ci vengono date delle informazioni incorrette o parziali, che spesso anche gli insegnanti ignorano essere tali, regole che funzionano parzialmente anche in italiano ma che non causano sufficienti problemi da accorgersi essere sbagliate.
      Il problema principale è che c’è il mito che l’italiano si pronunci come è scritto (dovrebbe essere evidente non essere il caso, considerato che un lettera è muta e per definizione, la si scrive ma non la si pronuncia). In generale per descrivere i suoni è meglio usare l’IPA (alfabeto fonetico internazionale) che è stato creato proprio per usare un singolo simbolo grafico per ogni fonema, ovvero la posizione che la bocca assume per produrre un suono. Per esempio, le vocali in italiano standard sono 7, non 5: /a/, /e/, /ɛ/, /i/, /o/, /ɔ/ e /u/. Solitamente nei dizionari italiani per la pronuncia si usano accento grave ed accento acuto “a”, “é”, “è”, “i”, “ó”, “ò” e “u”. Talvolta si parla di “vocali aperte o chiuse”, purtroppo però è completamente errato, infatti non corrispondono ad una diversa apertura della bocca, bensì ad un diverso spostamento della lingua, che nel caso di /e/ vs /ɛ/ e /o/ vs /ɔ/ è causato dall’alzarsi della radice della lingua, una sorta di ugola attaccata alla lingua che si alza o abbassa. Il fatto che non si tratti di “chiusa/aperta/ include anche “u chiusa” del tedesco, “ü” /y/ che in realtà differisce perché articolata con la punta della lingua anziché il dorso, quindi “anteriore vs posteriore” anziché “chiusa vs aperta”.
      Parte del problema è che gli accenti vengono anche usati per marcare la posizione dell’accento tonico. In pratica usiamo accento acuto ed accento grave come le lunghezze del latino o le umlaut, ma essendo chiamati accenti, assumiamo (anzi, ci è stato insegnato ad assumere) che siano anche la posizione dell’accento tonico. Questo perché con le parole in cui l’accento è sull’ultima sillaba, effettivamente cambia il fonema, come “pero” e “però”, che nei dizionari scrivono rispettivamente “pé-ro” e “pe-rò”, mentre in IPA sono /p’ero/ e /per’ɔ/ (l’apostrofo precede la vocale con l’accento tonico). Sembra funzionare, finché non si fa caso ad alcuni termini, come la congiunzione “e” ed il verbo “è”, dove l’accento tonico è ovviamente sull’unica sillaba ed in italiano la pronuncia si scrive si scrive “é” /e/ e “è” /ɛ/. Tuttavia nel termine “perché”, l’accento è sull’ultima ma è quello acuto, non grave. All’orale, però, non ho mai sentito nessuno pronunciarlo con /e/ (se faticate a capire, l’ultima “e” di “perché”, l’avete mai sentita pronunciare come in “anziché”? Io I’ho sempre sentita solo come in “è” o “me”). Quindi se dovessi usare gli accenti nel modo italiano di scriverne la pronuncia, sarebbe “per-chè”, ma non lo vedrete così sul dizionario, vedrete “per-ché”. Pertanto l’accento acuto che indica /ɛ/ in “perché”, mentre in “anziché” lo stesso accento indica /e/ e altrove è l’accento grave ad indicare il fonema /ɛ/. Un altro esempio di come la posizione dell’accento tonico non influisca sempre sulla pronuncia è “la botte” vs “le botte”, infatti al nord l’accento tonico è sulla prima sillaba in entrambi i casi, ma il contenitore usa il fonema /o/, mentre il plurale di botta usa /ɔ/, quindi nei dizionari sono rispettivamente “bót-te” e “bòt-te”. Visto che l’accento è sulla “o” in entrambi i casi non sembra un problema, ma nel momento in cui facessi un gioco di parole con “bottega”, pronunciando la “o” come in “le botte”, il modo di scrivere la pronuncia in italiano non riesce ad illustrare la differenza con il termine comune, poiché l’accendo cade sulla “e”, ma la “o” richiede un accento per indicare essere /ɔ/ e non /o/.
      In altre parole, l’italiano è inconsistente nell’indicare con gli accenti grave ed acuto le pronunce di due coppie di fonemi ed il cambio di fonema è detto dipendere dall’accento tonico, quando non è davvero così, solo che poiché nei dizionari la pronuncia riporta solo un accento, se la vocale ad essere pronunciata diversamente non è accentata, non si può verificarne la pronuncia. Su questo fronte il francese è molto più consistente, per esempio “élevé” (“elevato”) ed “élève” (“allievo”) sono effettivamente due parole completamente diverse perché gli accenti servono per distinguere i fonemi. “Élevé” è pronunciato /eləv’e/ mentre “élève” si pronuncia /el’ɛv/. In altre parole “é” = /e/, “è” = /ɛ/ mentre “e”=/ə/ o non pronunciato se a fine parola. Tutte le parole in francese sono scritte con questo principio, quindi si sa sempre come si pronuncia in base a come è scritto. Ed è anche il motivo per cui in francese “ci sono tanti accenti”, non rappresentano l’accento tonico, ma vanno a modificare la lettera per ottenere una pronuncia diversa. Quindi il francese usa sia simboli diacritici (gli accenti) che dittonghi per far capire le diverse pronunce, questo poiché in francese ci sono 17 vocali, con l’alfabeto latino che ne scrive solo 5. Inoltre si è deciso (nell’800 ci fu l’ultima riforma al riguardo) che la scrittura del francese mantenesse le tracce etimologiche, quindi alcuni dittonghi sono stati conservati anche se “ridondanti” (per esempio, sia “ai” che “è” indicano il fonema /ɛ/). L’italiano, invece, ha optato per adattare la scrittura alla pronuncia, quindi non importa se in greco fosse “Phoebēs”, in italiano è scritto e pronunciato “Febe” (/f’ebe/ o /f’ɛbe/) mentre in francese si scrive “Phoebe” ma si pronuncia /feb’e/. L’inglese, invece, ha copiato i compiti del francese ma poi cambia a cazzo le cose per non farlo notare, quindi è scritto “Phoebe”, e visto che “oe” diventa /e/, applicano le regole dell’inglese per /e/ che diventa /i/, quindi /f’iːbi/ (i triangolini indicano che la prima “i” è lunga). E questo è il motivo per cui l’inglese è la peggior lingua quando si tratta di consistenza tra scrittura e pronuncia: conserva la grafia dalla lingua originaria, ma assume le regole di pronuncia che sono comparse nel frattempo sulla pronuncia e non segnala graficamente nulla.
      Forse vi starete chiedendo, ok, interessante, ma cosa c’entra con le dieresi? Ebbene, in realtà in alcuni casi servirebbero anche in italiano (non a caso le tre corone le usavano), principalmente per distingue due vocali dalle rispettive semivocali. Una semivocale è una vocale che si comporta come una consonante (ovvero non può avere un accento e “si attacca” alla vocale formando una sillaba), in italiano abbiamo /j/ e /w/ che scriviamo come le vocali corrispondenti “i” e “u”. Nella parola “guardia” sono presenti entrambe e nei dizionari di solito indicano la pronuncia con “guàr-dia”, evidenziando che “u” e “i” non formano una sillaba propria. Con il nome “Anais”, l’accento è sulla seconda “a”, ma la “i” è una vocale, non una semivocale, quindi /an’ais/ o “a-nà-is”. Molti lo pronunciano /‘anajs/ (“à-nais”) o /an’ajs/ (a-nàis”), alcuni sentendo /i/ e non /j/ la accentano, dicendo /ana’is/ (“a-na-ìs”, Simo lo fa un paio di volte nell’episodio). Questo perché intuitivamente associamo “ai” ad /aj/ e quando sentiamo che la “i” non è “attaccata”, assumiamo lo spostamento dell’accento tonico, perché in italiano nella maggior parte dei casi è come ci è stato insegnato funzionare (appunto, quando una vocale non è “come di consueto” ci viene detto essere accentata). In effetti, a ben guardare, in italiano se “i” o “u” sono vicine ad un’altra vocale, la maggior parte delle volte sono semivocali e formano un dittongo, sia che siano in attacco (prima della vocale), “guardia”, “guerra”, “guida”, “tuorlo”, “ieri”, “chiosco”, “chiuso”, etc. Sia che siano in coda (dopo la vocale), “aurora”, “Europa”, “ai”, “miei”, “cui”, etc. Ci sono rare eccezioni come “diurno” (tre sillabe, “di-ùr-no”) o “arpia”, in cui l’accento tonico è proprio sulla “i”, ma chi non conosce la parola spesso pronuncia “pia” come in “piatto”, ma in generale “i” e “u” diventano semivocali e formano un dittongo con le vocali adiacenti.
      Pertanto per indicare termini specifici, anche in italiano farebbero comodo le dieresi (per esempio “arpiä” anziché “arpia”) e sicuramente sarebbe opportuno usare gli accenti come diacritici ed in modo consistente, anche nello scritto generico, cambiando quindi la scrittura delle pronunce, indicando l’accento tonico in modo diverso (per esempio con l’apostrofo). Oppure, la scelta che sarebbe bello veder adottare in modo consistente da tutti, utilizzare l’IPA per scrivere le pronunce ed insegnarlo alle elementari, visto che siam riusciti a mettere d’accordo tutto il mondo con un singolo alfabeto fonetico (ok, tranne gli USA, che usano l’APA, ma so’ americani…), solo che se lo si impara solo studiando altre lingue e non viene usato nei dizionari, ovviamente è un casino e perde il grosso della sua utilità.
      Scusate il papiro infinito, spero sia chiaro, purtroppo dato il pessimo metodo di insegnamento (a livello mondiale, non è una cosa italiana) la maggior parte delle persone non ha neanche le basi per capire come funzionano pronunce e simili😅

  • @zozi9153
    @zozi9153 2 дні тому

    Sulla questione Intuizione o Investigare, secondo me vanno bene entrambe, ma punto più su investigare. Perché intelligenza non è solo ciò che studi e conoscenze acquisite, ma anche memoria e capacità di ragionamento/logica matematica. Quindi dipende unisce i puntini perché nota qualcosa che non aveva notato nessuno, quindi saggezza, o si rende conto delle conseguenze logiche di diverse azioni, quindi intelligenza?

  • @jormungandr2316
    @jormungandr2316 2 дні тому

    Ti spiego io ... Ci sono pronunce diverse, per esempio imago la a è aperta quindi è come se la pronuncia un un po' di più la i è accentata quindi è più forte il suona anais la i il suono è più lungo sulla i come se ci fossero due i

  • @danieletrotta5452
    @danieletrotta5452 13 годин тому

    tra un ora torna usagi