La critica musicale, anche quella più diretta e meno approfondita, è stata motivo di ricerca per i miei standard. Che sia tu, Nunziata, Frusciante, Scaruffi. Ci sono stati tanti punti di riferimento e probabilmente continueranno ad esserci altri in futuro ad accompagnarmi.
Io fino a tempo fa compravo Blow Up, Rockerilla, Rumore e Mucchio Selvaggio contemporaneamente. A una certa, ho smesso per questioni economiche e perché compravo quelle riviste più per collezionismo che altro, e mi dispiaceva, perché avrei voluto leggerle almeno per un quinto. Ho fatto una scelta, quindi, "minimalista", non acquistando più il superfluo. Superfluo nel senso di ingombrante in casa e inutilizzato. Per quanto riguarda la critica musicale, è vero che ormai non ne esiste una che sia una, su un piano professionale/lavorativo. Ormai a commissione non corrisponde retribuzione, neanche sotto forma di dischi. E chiunque oggi può diventare critico musicale facendo come mestiere principale qualcos'altro. Non è di per sé sbagliato fare critica musicale senza una laurea o un patentino da giornalista, ma il cerchio si restringe se si cerca chi veramente esprime delle critiche autonome, e non viziate da un desiderio di affermarsi e di compiacere. Scaruffi, per es., pur non essendo un critico professionista, esercita un certo ascendente e ha una certa autorevolezza che si è conquistato nel tempo, meritatamente o meno a seconda dell'occhio/orecchio di chi legge/ascolta. Oggi ci sono critici professionisti ma sono spesso persone dalla mentalità accademica o classicista. Per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, molte volte, essendo gli unici veramente pagati per ciò che scrivono, scrivono quello che qualcuno si aspetta che scrivano, quindi ecco che fioccano voti alti per qualsiasi novità del mercato iper-pubblicizzata in partenza. Passano, così, per moderni, per critici sul pezzo, ma tradiscono una certa mancanza di trasversalità e di curiosità verso schemi non premiati dal reparto discografico. I giornalisti musicali, i pubblicisti, ecc., creano i fenomeni, e non hanno vera lungimiranza riguardo a ciò che potrebbe durare nel tempo per la portata innovativa o per le qualità compositive.
Su Blow-Up e Rockerilla ho scritto anche io (ma giusto perché mi pagavano. Ti parlo di 25 anni fa), ma anche su quei giornali, praticamente nessuno è un giornalista professionista. Tutti fanno altri mestieri per campare. I giornalisti professionisti sono Gino Castaldo, il compianto Ernesto Assante, Fegiz, quello de La Stampa... Io non ho mai letto nulla in vita mia di un giornalista professionista. Io sono cresciuto con i consigli degli amici, di certe firme di rockerilla (Vittore Baroni e Bertoncelli), di Piero Scaruffi (con cui ho collaborato per due anni)... Poi leggo ciò che scrive l'amico Francesco Nunziata... And so on. E ascolto musica dal 1979
@@leonardodm7184 Complimenti, Rockerilla era una rivista che adoravo più di tutte e che ho acquistato per molti anni, ricordo anni fa una intervista a Beppe Riva che dichiarava come per lui fosse fondamentale avere un lavoro vero e proprio che gli garantisse una entrata economica mensile in modo di essere totalmente libero di scrivere quello che pensava.
La critica musicale, anche quella più diretta e meno approfondita, è stata motivo di ricerca per i miei standard. Che sia tu, Nunziata, Frusciante, Scaruffi. Ci sono stati tanti punti di riferimento e probabilmente continueranno ad esserci altri in futuro ad accompagnarmi.
Ed è così che dovrebbe essere
Io fino a tempo fa compravo Blow Up, Rockerilla, Rumore e Mucchio Selvaggio contemporaneamente. A una certa, ho smesso per questioni economiche e perché compravo quelle riviste più per collezionismo che altro, e mi dispiaceva, perché avrei voluto leggerle almeno per un quinto. Ho fatto una scelta, quindi, "minimalista", non acquistando più il superfluo. Superfluo nel senso di ingombrante in casa e inutilizzato.
Per quanto riguarda la critica musicale, è vero che ormai non ne esiste una che sia una, su un piano professionale/lavorativo. Ormai a commissione non corrisponde retribuzione, neanche sotto forma di dischi. E chiunque oggi può diventare critico musicale facendo come mestiere principale qualcos'altro. Non è di per sé sbagliato fare critica musicale senza una laurea o un patentino da giornalista, ma il cerchio si restringe se si cerca chi veramente esprime delle critiche autonome, e non viziate da un desiderio di affermarsi e di compiacere. Scaruffi, per es., pur non essendo un critico professionista, esercita un certo ascendente e ha una certa autorevolezza che si è conquistato nel tempo, meritatamente o meno a seconda dell'occhio/orecchio di chi legge/ascolta.
Oggi ci sono critici professionisti ma sono spesso persone dalla mentalità accademica o classicista. Per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, molte volte, essendo gli unici veramente pagati per ciò che scrivono, scrivono quello che qualcuno si aspetta che scrivano, quindi ecco che fioccano voti alti per qualsiasi novità del mercato iper-pubblicizzata in partenza. Passano, così, per moderni, per critici sul pezzo, ma tradiscono una certa mancanza di trasversalità e di curiosità verso schemi non premiati dal reparto discografico. I giornalisti musicali, i pubblicisti, ecc., creano i fenomeni, e non hanno vera lungimiranza riguardo a ciò che potrebbe durare nel tempo per la portata innovativa o per le qualità compositive.
Su Blow-Up e Rockerilla ho scritto anche io (ma giusto perché mi pagavano. Ti parlo di 25 anni fa), ma anche su quei giornali, praticamente nessuno è un giornalista professionista. Tutti fanno altri mestieri per campare. I giornalisti professionisti sono Gino Castaldo, il compianto Ernesto Assante, Fegiz, quello de La Stampa... Io non ho mai letto nulla in vita mia di un giornalista professionista. Io sono cresciuto con i consigli degli amici, di certe firme di rockerilla (Vittore Baroni e Bertoncelli), di Piero Scaruffi (con cui ho collaborato per due anni)... Poi leggo ciò che scrive l'amico Francesco Nunziata... And so on. E ascolto musica dal 1979
@@leonardodm7184 Complimenti, Rockerilla era una rivista che adoravo più di tutte e che ho acquistato per molti anni, ricordo anni fa una intervista a Beppe Riva che dichiarava come per lui fosse fondamentale avere un lavoro vero e proprio che gli garantisse una entrata economica mensile in modo di essere totalmente libero di scrivere quello che pensava.